In scena dal 13 al 18 dicembre al Teatro Bellini di Napoli arriva Bros, per la concezione e la regia di Romeo Castellucci.
Tra i fondatori, nel 1981, della compagnia di teatro avanguardista Socìetas Raffaello Sanzio, Castellucci porta in scena un altro tentativo di opera d’arte totale, sempre sulla scia della scissione dalla logicità di un testo portatore di una trama. La parola è quasi assente, infatti, durante lo spettacolo, se non per dei motti ideati da Claudia Castellucci e tradotti poi in Latino.
Bros diventa un momento di sperimentazione antropologica sia sul pubblico che sugli attori, la quale si traduce in uno spettacolo fatto di azioni apparentemente illogiche, ma che nel loro insieme hanno una certa familiarità per lo spettatore, il quale resta comunque interdetto alla fine della pièce.
La premessa di Bros è un patto, fruibile anche dallo spettatore, stipulato tra una ventina di attori e il regista. Un Patto comportamentale consegnato a ignari partecipanti i quali, anche senza capire il senso di alcune frasi – si legge-, si impegnano comunque a seguire ciecamente gli ordini – che non sarà possibile rivelare in futuro – ricevuti al regista durante lo spettacolo. A seguito di ogni ordine l’attore deve tornare immobile, senza reagire, senza guardare negli occhi i suoi colleghi, deve obbedire anche in caso di vergogna o intralcio ad altri attori e sarà questo il suo contributo al teatro.
Per quanto a primo impatto interessante e curiosa la concezione di Castellucci e la scelta di obbedienza degli attori, diventa ancora più interessante la possibilità di disobbedienza, provocata spesso durante la performance. L’aria evocata è tutt’altro che serena, infatti un atmosfera plumbea accoglie lo spettatore, il quale viene puntato da uno strano radar e un oggetto che emette luci ad intermittenza. Sulla scena molto fumo, e fin dall’inizio le musiche talvolta disturbanti di Scott Gibbons: è che il gioco dell’alienazione viene a crearsi sia nello spettatore che negli attori/pedine, solo un momento dedicato ad vecchio canuto dalla lingua poco comprensibile che si riferisce ai testi biblici – in particolare, volutamente a Geremia – e poi sono i poliziotti a dominare silenziosamente la scena.
Una dittatura invisibile quella del regista sugli attori, ma che in qualche modo viene intimata anche al pubblico che è intimorito e talvolta disturbato dall’atmosfera cupa, tesa, accompagnata da immagini di violenza, azioni quotidiane interrotte da improvvisi colpi a salve, sangue finto, due pastori tedeschi a fare da cani poliziotto e dalle pose assunte dai corpi degli attori.
Riconoscibilissimi alcuni omaggi artistici al comico clownesco, inseriti in scene di violenza, ma soprattutto riferimenti a Jacques-Louis David e alcuni dei suoi più celebri quadri, ricreati dai poliziotti di Bros, che sono riusciti a rendere ancora più forte la sensazione perturbante cercata dal regista che, facendo leva su alcune azioni quotidiane, le estremizza al punto tale da creare attrazione e alienazione insieme.
Forte l’immagine dei poliziotti uniti a seguire i movimenti di un fantoccio, una dittatura nella dittatura, che a sua volta critica l’obbedienza della società, pur avendo richiesto la stessa obbedienza ai propri attori. In conclusione, Bros è uno spettacolo intenso, non adatto ai deboli di cuore, disturbante e interessante, un esperimento che inizia a teatro, ma continua a vivere dentro lo spettatore anche fuori.
Immagine in evidenza: Teatro Bellini