Chi è Mejerchol’d Vsévolod? Mejerchol’d Vsévolod (1874-1940) è stato, prima, uno dei più famosi attori del teatro russo e, poi, è diventato uno dei più eccellenti registi teatrali e uno dei più noti teorici del teatro.
L’inizio a teatro per Mejerchol’d
Per comprendere chi è Mejerchol’d, bisogna cominciare dai suoi primi passi nel mondo del teatro. Mejerchol’d era allievo della scuola di Nemirovič-Dancenko e comincia la sua attività con Stanislavskij. Nel 1902 si allontana dal Teatro d’Arte di Stanislavskij per la stanchezza nei confronti del modello naturalistico di messa in scena; ritenendo che sia diventato ormai un cliché, e cerca un’altra via che lo conduca verso un tipo di rappresentazione non convenzionale.
Una nuova esperienza
Nel 1905, Mejerchol’d viene chiamato da Stanislavskij a dirigere il primo esperimento di teatro-laboratorio presso il Teatro d’Arte, esperimento che in qualche maniera resta irrisolto perché da un punto di vista politico ci sono i grandi movimenti rivoluzionari del 1905 che rendono impossibile portare avanti questo tipo di attività, ma anche dal punto di vista dei contenuti perché Mejerchol’d importa le nuove linee di ricerca sperimentali che erano orientate verso il simbolismo e che non convincono Stanislavskij. Nell’esperienza dello studio, Mejerchold affermava che l’attore dovesse proporre le proprie idee e che il compito del regista fosse quello di equilibrare ciò che gli altri creatori avevano elaborato liberamente, che dovesse, generalmente, sentire il ritmo interiore e saperlo restituire attraverso la plasticità corporea.
Nel ’26, con l’ascesa al potere di Stalin, Mejerchol’d avrà tanti conflitti con le linee di interpretazione del regime perché all’arte si richiede di essere illustrativa, decorativa, tanto è vero che viene affermata come “arte di Stato al Realismo Socialista”. D’altro canto, lui verrà accusato di essere, prima, formalista, e poi di non avere idee congruenti con le nuove imposte dal nuovo regime. Infatti, prima, nel 1938, e poi, nel ’39, Mejerchol’d è sottoposto a dei processi pubblici in cui è chiamato ad abiurare le sue idee. Mejerchol’d si rifiuta, ritenendo di non essere un formalista, ma un artista che lavora sulle forme, e quindi il suo teatro non è un teatro borghese e anti-rivoluzionario, ma anzi è l’unico vero teatro rivoluzionario. Ma la sua opposizione fu assolutamente respinta e fu accusato di tradimento così nel 1940 venne processato e fucilato.
L’attivismo di Mejerchol’d e il teatro politico
Mejerchol’d, -come del resto altri registi dell’epoca, ad esempio, Piscator-, da un lato, ricerca una nuova scena, e dall’altro, è interessato alla scena politica, è politicamente coinvolto, anche perché sente molta vicinanza dei confronti del proletariato.
Mejerchol’d nel 1917, allo scoppiare della Rivoluzione d’Ottobre, aderisce addirittura in maniera entusiasta ai processi rivoluzionari arrivando a proclamare “l’Ottobre delle Arti”: cioè un processo rivoluzionario su come la Rivoluzione d’Ottobre ha sconvolto gli equilibri politici, così sconvolgendo gli equilibri artistici.
Il teatro è di per sé un’arte sociale, un’arte con implicazioni politiche, che coinvolge la comunità, anche se durante le diverse epoche, esso coinvolge in maniera sempre diversa. Nel ‘900 si ritiene che tutte le arti debbano essere coinvolte nei processi di trasformazione che riguardano il contesto sociale; quindi, il fenomeno esplode negli anni ‘20 del ‘900 è legato al comunismo e al bolscevismo, cioè, modelli antagonisti a quello delle democrazie occidentali. Il teatro diventa politico non in quanto atto sociale che coinvolge una comunità, ma in quanto portatore di valori immediatamente politici, e questi valori possono esprimersi su piani diversi.
Le principali opere
A questo punto, è possibile analizzare chi è Mejerchol’d attraverso le sue stesse produzioni. Mejerchol’d crea degli spettacoli di argomento politico, e questi spettacoli sono fondamentalmente quelli che lui realizza insieme a Majakovskij, il più importante poeta russo futurista dei primi ‘30 anni del 1900, che giocava le sue carte sulla reinvenzione del linguaggio, e aveva cercato di trovare un punto di incontro tra rivoluzione del linguaggio e argomenti di natura rivoluzionaria soprattutto in un testo, Mistero Buffo, che è uno spettacolo che nasce come racconto di un viaggio a seguito di un nuovo Diluvio Universale su delle scialuppe con gruppi di personaggi divisi tra puri ed impuri: i puri sono i borghesi e gli impuri i proletari, che attraversano i diversi regni dell’Oltretomba fino a che restano soltanto gli impuri a reggere l’impatto di questo processo di sviluppo della coscienza, e arrivano in un mondo liberato dove le macchine dell’industria li accolgono come loro liberatori. È un testo molto metaforico: l’idea è quella di un superamento dei valori classici della psicologia borghese per arrivare, invece, ad un nuovo piano conoscitivo che è quello in cui i termini di valore sono quelli di una nuova struttura sociale basata sull’industria e sul proletariato. Tutto ciò non piacque ai politici sovietici, poiché il teatro doveva essere uno strumento di formazione culturale, doveva essere educativo e non un “baraccone futurista”. In realtà, Mejerchol’d voleva coniugare le esigenze moderniste alla necessità della Rivoluzione.
Con la compagnia della Komissaržeskaja, Mejerchol’d realizza il suo primo grande spettacolo, nel 1906, ed è La baracca dei saltimbanchi” di Aleksandr Blok, uno scrittore simbolista russo. Questo è un testo in cui i protagonisti sono le maschere: c’è Arlecchino, Colombina e Pierrot, ed è tutto un gioco irreale sull’innamoramento, che non produce esito, di Arlecchino per Colombina. Mejerchol’d lo realizzò con una recitazione, questa volta estremamente dinamica, con cambi di ritmo fra momenti esuberanti e momenti viceversa riflessivi, e l’azione si concludeva con Arlecchino che gettandosi nel vuoto strappa il fondale di carta che chiudeva lo spettacolo, la scenografia. La scenografia era rappresentata da un piccolo palcoscenico e quindi Mejerchol’d aveva ricostruito un teatro nel teatro in cui mostrare il teatro delle maschere. La baracca dei saltimbanchi è, contemporaneamente, un testo che vive delle ascendenze simboliste, ma è anche l’incontro con la Commedia dell’Arte.
Lo spettacolo in cui questo momento di sintesi fra sperimentalismo e regia trova la sua più chiara espressione è Il magnifico cornuto, che è una farsa di un autore belga che si chiama Crommelynck e che Mejerchol’d realizza nel 1923. In questo spettacolo ci sono due elementi che sono fondamentali: il primo è l’incontro con una pittrice costruttivista. Il costruttivismo era una linea dell’avanguardia russa, che si basava sull’idea che l’arte dovesse costruire congegni, mostrare le dinamiche del suo farsi, essere un’arte della macchina. Il magnifico cornuto è una farsa grottesca in cui un mugnaio è così geloso della moglie e convinto che la moglie abbia un amante, che inventa un sistema paradossale per scoprirlo, cioè quello di convincere tutti i cittadini del suo paese a stare con la moglie perché è convinto che solo così può venire a capo della cosa. Qui compare una sua teoria della recitazione, che diventa una pedagogia della recitazione, che definisce biomeccanica: l’idea di un corpo pensato come un meccanismo, non un corpo robotizzato, ma bisogna avere l’idea di un corpo pensato come una macchina che funziona, una macchina dell’espressione. Quindi, vi è l’unione tra la commedia dell’arte, il costruttivismo e la recitazione biomeccanica. Una delle particolarità è che, per sollevare l’idea che gli attori fossero degli operai all’interno di questo congegno meccanico, Mejerchol’d aveva voluto che indossassero delle tute da lavoro, così come in una catena di montaggio l’operaio è una parte integrante del rapporto uomo-macchina, ora l’attore è una parte fondamentale del rapporto uomo-macchina. È presente anche l’acrobatica, cioè l’idea che la recitazione fosse dinamismo, anche nella capacità del corpo di uscire fuori dalle sue attitudini quotidiane. Ogni personaggio poi, su questa tuta che rendeva tutti uguali, aveva dei particolari che potevano far pensare e aiutare l’identificazione del personaggio; quindi, si ha qualcosa che assomiglia ad una maschera; inoltre, c’è una gestualità ampia, innaturale, che coinvolge completamente il corpo. Il magnifico cornuto, dunque, è lo spettacolo in cui il piano narrativo viene completamente messo in secondo piano, è una farsa, è un gioco puramente meta-teatrale, tutto ruota attorno alla dinamica tra corpi in movimento e macchina scenica.
Altra fondamentale messinscena è Il Revisore di Gogol, un testo del 1800. Si tratta di una storia farsesca e di una grande ironia sulla piccola borghesia della provincia russa in cui Gogol racconta di questa comunità di piccoli dirigenti locali, il sindaco e gli altri borghesi del posto (che vivono di piccoli imbrogli e accordi) che vengono a sapere che sta per arrivare un ispettore generale per ispezionare il loro territorio. Questi si sbagliano perché arriva un giovane che viene scambiato per ispettore, che addirittura viene promesso sposo alla figlia del sindaco, gli danno denaro e gli fanno regali. Questo giovane, comprendendo la vicenda solo in un secondo momento, si fa beffa dell’intera comunità e andrà via proprio nel momento in cui comprende che potrebbe essere rivelata la verità. Intanto, il sindaco dà una festa per lo scampato pericolo e proprio in questo momento arriva l’ispettore, quello vero. Mejerchol’d realizza una scenografia che è fatta con un grande edificio su cui si affacciavano 15 porte di legno, da cui entravano e uscivano i personaggi e con delle porte centrali, particolarmente ampie, da cui usciva un carrello su cui era montato un impianto scenografico. L’idea, quindi, è sempre quella di una “scena-macchina”. Ora, l’attore non indossa una tuta neutra, ma un abito dell’epoca. L’attore, ora, è chiamato a svolgere dei compiti, non a essere qualcosa, come in una coreografia in cui Mejerchol’d organizza i corpi, gli spazi e le dimensioni.
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