Dopo l’ottimo Micia Nera e i Conti Pomiglianesi, dal 6 all’8 dicembre 2024, il TRAM di Napoli ospiterà Da Est a Ovest, un’opera teatrale intensa e profonda scritta e diretta da Gianluca d’Agostino, che ne è anche protagonista accanto a Rossella Amato. Questo spettacolo, vincitore del Premio di drammaturgia Il Vallecorsi, 60° edizione, racconta delle vicende di Ade e Sim, due anime che si amano e si scontrano, affrontando le sfide della vita in un ciclo ininterrotto di incontri e separazioni. Con una narrazione che intreccia momenti comici e di riflessione, Da Est a Ovest indaga, infatti, temi universali come l’amore, l’amicizia, la memoria e la fragilità dei rapporti nella società contemporanea.
In vista del suo imminente debutto, abbiamo avuto l’opportunità di parlare con il regista e attore Gianluca d’Agostino, per scoprire di più sulla genesi di questo progetto e sui messaggi profondi che intende trasmettere.
1. “Da Est a Ovest” è uno spettacolo che indaga la complessità dei rapporti umani e il passare del tempo. Cosa ti ha ispirato? Qual è la genesi del testo?
Alla base c’era la forte volontà di scrivere qualcosa da fare insieme a Rossella. Di solito scrivo per gli attori che immagino in quei ruoli, oltre che per me stesso, che sono attore. Diventa per me tutto più semplice se ho già in mente l’interprete, e Rossella ha infinite possibilità interpretative. Il mio lavoro è stato quello di fornirle degli assist per farla andare in goal in più punti dello spettacolo. Ovviamente ho cercato di fare lo stesso anche per me. Per quanto riguarda le tematiche, l’essere un neo-papà ha giocato un ruolo fondamentale: all’epoca erano proprio i primi mesi, quindi ho cercato di accentuare e spingere sull’acceleratore di tutte le ossessioni e i comici paradossi che affollavano la mia mente per rendere il tutto molto più surreale e, a mio avviso, rappresentativo della realtà. Immergo sempre i miei personaggi in situazioni condivisibili da gran parte delle persone che si possono trovare nelle stesse condizioni dei protagonisti, ma questo è sempre un focus che ho ben chiaro in ogni cosa che scrivo. Detta così sembra facile, ma in realtà non ho quasi mai chiaro tutto il percorso di un testo quando comincio: le idee mi si chiariscono strada facendo, pagina dopo pagina. E ancora adesso che sono quasi al debutto, l’autore continua a lavorare.
Era da tempo che nei miei scritti mi divertivo a giocare con il concetto di tempo e, in questo testo, ho messo a frutto tutte le idee e le forme che avevo maturato negli anni precedenti sull’argomento. Posso dire che il tempo, in questo spettacolo, è un terzo attore in scena. Mi ispiro a fatti di cronaca, all’osservazione della gente per strada, alle tematiche del nostro contemporaneo e agli autori che mi piacciono. Ogni volta che leggo un testo di valore, imparo qualcosa in più sullo scrivere.
2. L’opera affronta momenti di comicità e riflessione profonda. Qual è stata la tua sfida più grande nel bilanciare questi due elementi?
Ma in realtà non comprendo mai come un testo non vada naturalmente sempre in entrambe le direzioni. La vita non va mai da una parte sola. Anche in una giornata tragica e tristissima c’è un momento di ilarità. Anche nella morte. La comicità può essere anche commovente. E la tragedia comica. Ci sono scene più da commedia, altre drammatiche, ma si bilanciano da sole se noi attori le viviamo veramente senza pensare se far ridere o piangere.
3. Gianluca d’Agostino. “Da Est a Ovest” chiude una trilogia che hai definito del “doppio”. Come si collega questo spettacolo ai precedenti lavori e quali nuovi elementi hai voluto esplorare con questo ultimo capitolo?
Per diversi motivi. Banalmente sono tutti testi per due attori. Più profondamente, sono tutte opere in cui, come dicevo nella domanda precedente, cerco una fusione di commedia e tragedia. L’obiettivo è mettere lo spettatore di fronte a uno specchio e farlo riconoscere negli attori sul palco. Sono sempre due mondi a contrapporsi e dialogare.
Nell’Anniversario sono l’Io e la Coscienza, il giovane e il vecchio, il poeta e il cinico. In Aspettando il mondo ci sono il reale e il mondo della rappresentazione, il razionale e l’irrazionale, la follia e il controllo. In Da Est a Ovest, il mondo del femminile e quello del maschile. Oltre che tutto il lavoro sul tempo di cui parlavo prima.
4. Nel contesto attuale, in cui i rapporti sembrano spesso avere un carattere effimero, quale messaggio speri che il pubblico porti a casa dopo aver visto lo spettacolo?
Allora, cosa spero e quale messaggio vorrei lanciare? Sicuramente spero che gli spettatori portino a casa un’emozione. Nel contesto in cui viviamo, questo spettacolo è una riflessione sui rapporti in un mondo globalizzato, un mondo che corre, che ci costringe sempre a essere performanti, veloci, senza darci il tempo di soffermarci a pensare.
Siamo portati a buttare tutto ciò che non funziona più, senza darci la possibilità di riparare. Pensiamo che ciò che non va non possa mai andare, soprattutto nei rapporti. Nella mia generazione, ma forse anche dieci anni oltre (io ho 40 anni, quindi parlo di persone fino a circa 50 anni e più giovani fino ai 15-18 anni), vedo che manca la capacità di sacrificarsi per far funzionare le cose.
Non parlo solo dell’amore, ma anche dell’amicizia, del rapporto con i genitori o i fratelli. Tutto diventa usa e getta, come se fosse sostituibile: se non ho un fratello, ho gli amici; se non ho un amore, ne trovo un altro. Questa mentalità è grave e forse accentuata dalla pandemia, che ci ha resi più “arrangiati”, come si dice a Napoli.
Il messaggio è che i rapporti non devono seguire la logica del consumismo. Dobbiamo impegnarci, perché nulla è garantito, né nei legami né nelle aspirazioni professionali. È necessario accettare il fallimento, sudare, credere nei propri obiettivi, perché non è detto che tutto vada come speriamo. Questa riflessione è ciò che spero il pubblico porti con sé.
Fonte immagine per l’intervista a Gianluca d’Agostino: ufficio stampa