Finché giudice non ci separi: recensione del nuovo spettacolo con Biagio Izzo
Un soggiorno invaso da scatole, ricordi e frammenti di una vita. Questo avvilente scenario riflette l’incompiutezza di un’anima da ricostruire dopo il trauma del divorzio. Il sipario si apre, un uomo urla disperato, sorretto dall’amico. Si apre così Finché giudice non ci separi, andato in scena in prima nazionale al Teatro Diana di Napoli, con la regia di Augusto Fornari.
Il testo, firmato da Augusto Fornari, Toni Fornari, Andrea Maia e Vincenzo Sinopoli, è stato riscritto per esaltare il talento comico di Biagio Izzo, protagonista nel ruolo di Massimo. Accanto a lui Adriano Falivena (Paolo), Augusto Fornari (Mauro), Roberto Giordano (Roberto), Carla Ferraro (il giudice) e Adele Vitale (l’ex di Mauro).
La trama di Finché giudice non ci separi: un microcosmo di vite in frantumi
Lo spettatore viene condotto in medias res in questo piccolo appartamento fatiscente, dove, tra situazioni divertenti e paradossali, si sviscerano dubbi, colpe, ragioni e torti: i “peccati” da cui redimersi quando l’amore finisce e così il matrimonio. Il titolo, una versione disillusa del classico “Finché morte non ci separi”, è emblematico, calza a pennello.
Il protagonista è il libraio Massimo (Biagio Izzo) che non riesce a superare la separazione. Con l’aiuto del giudice (Carla Ferraro), la moglie è riuscita a portargli via tutto, impedendogli perfino di parlare al telefono con la figlia. Tenta diverse volte il suicidio, venendo salvato dall’intervento tempestivo dei suoi amici, anche loro separati per diversi motivi.
Mauro (Augusto Fornari), ricco figlio del proprietario di un ristorante, si atteggia a sciupafemmine, ma è, in fondo, ancora innamorato della madre dei suoi figli e si sente solo. Roberto (Roberto Giordano) è un assicuratore che lavora e vive con la ex. Infine, Paolo (Adriano Falivena), uomo colto e profondo, racconta di essere stato tradito, ma solo alla fine si scoprirà il vero motivo del suo divorzio.
Sarà una vicina di casa (interpretata da Adele Vitale) a rompere l’apparente equilibrio raggiunto dai quattro, la sua apparizione innescherà una reazione inattesa e spropositata in Massimo.
Quattro uomini e una Kallax: il montaggio come metafora
La parte più riuscita dello spettacolo, dalla struttura piuttosto lineare (ma non banale), è quella che vede la comitiva impegnata nel montaggio della libreria Kallax. Un’azione apparentemente ordinaria che, in realtà, grazie alla magia del teatro diventa una metafora potente: il tentativo di ricostruire le proprie vite, di ricomporre i frammenti sparsi delle proprie esistenze. Si è pervasi da una profonda tenerezza ed empatia per tutti loro, per cinquantenni fragili e disillusi, che in quel gesto appaiono vulnerabili come bambini alle prese con “mattoncini” di cui faticano di trovare giusto incastro.
Differenze e adattamenti di Finché giudice non ci separi: Napoli, l’attualità e la risata
Il testo originale, che ha ispirato l’omonimo film, è stato rifinito e attualizzato, ambientandolo a Napoli. La città vive nel dialetto e nelle dinamiche citate, tra cui l’overtourism e la difficoltà di trovare alloggi a prezzi accessibili. Questa scelta è stata propedeutica per enfatizzare il talento di Biagio Izzo, la cui comicità è stata ulteriormente valorizzata dalla performance coesa e affiatata del cast, che ha conquistato il pubblico con risate e spunti di riflessione. Ottima la caratterizzazione dei personaggi. Per quanto riguarda il reparto tecnico, invece, la scenografia è funzionale e curata, rende al meglio l’atmosfera, così come le musiche che accompagnano efficacemente i passaggi chiave della storia.
Buona la prima!
In 90 minuti, “Finché giudice non ci separi” mette in scena, con rara sensibilità, le vite di chi affronta il trauma della separazione. Una comicità agrodolce fa da contrappunto a una narrazione delicata e mai banale, culminante in un finale di grande impatto emotivo. Uno spettacolo convincente, capace di affrontare un tema universale e attuale senza mai scadere nella retorica, ma anzi toccando le corde più profonde dell’esperienza umana, in una società in cui i rapporti sono sempre più precari. Ne è prova il lungo applauso del pubblico, meritato epilogo per una pièce che ha saputo parlare al cuore del pubblico con un ritratto così vero della vita dopo la fine di un matrimonio.
Fonte immagine: ufficio stampa