Dal 10 al 13 novembre presso la Galleria Toledo è andato in scena I POETI MALEDETTI _ n.1 Io e Baudelaire Who wants to live forever?, primo passo di una trilogia dedicata ai poeti maledetti, della compagnia Biancofango. La drammaturgia è di Andrea Trapani e Francesca Macrì.
Biancofango è un progetto artistico che prende le mosse dall’urgenza di mettere in connessione parole e corpo, di farli dialogare, ripensando in modo innovativo le funzioni del teatro. La scrittura scenica riflette sulla contemporaneità, creando un effetto perturbante, come nel caso specifico di questo lavoro, nel quale ci si riappropria del passato per estorcerlo, rimodellarlo, riadattarlo al presente.
N. 1 Io e Baudelaire: benedetti dalla maledizione Andrea Trapani e Baudelaire sono i protagonisti di uno splendido vaneggiamento
La Galleria Toledo si fa nido per accogliere ogni piccola maledizione. Andrea Trapani è il protagonista di uno spettacolo intenso ed intimistico, nel quale poesia e vita vera diventano un tutt’uno. Ad aprire la scena un uomo solo in canottiera, gli occhi blu, profondi, sbarrati sugli spettatori. Ha la postura scomposta di chi ne ha passate tante e ha cominciato a fregarsene. Sincero e diretto, comincia il suo dialogo a tu per tu con Baudelaire. Si tratta di un confronto intellettuale? Di uno scambio di battute disinteressate tra amici? Decide di non rivelarlo, spontaneamente agisce e crea, in una mise en scène, che si inserisce a metà tra l’improvvisazione e la riscrittura parafrasata delle forme liriche, cucita appositamente sull’attore.
La conversazione privata prosegue con un crescendo musicale e verbale. Andrea – che per l’intera rappresentazione si destreggia confusamente tra la persona e il personaggio – pare attraversare sotto gli occhi di tutti una crisi interiore, o, meglio ancora, ripercorrere tutte le crisi passate, con annessi passaggi traumatici. In questo viaggio doloroso – nel quale il desiderio di arrivare al cuore della realtà e un’incurabile noia ininterrottamente si mescolano – un uomo di mezz’età si psicanalizza, servendosi dello strumento più potente e strettamente umano del quale dispone: la poesia.
La sua presentazione rivela subito una personalità particolarmente sensibile. Confessa di esser stato un ragazzino con interessi insoliti e di aver avuto degli idoli specifici, che, come mentori, hanno assunto un ruolo rilevante nel suo percorso di formazione: Maurizio Pollini, Baudelaire e Nanni Moretti. Lui è dichiaratamente un antieroe, al pari dei suoi maestri. Capiamo sin dal primo momento che ci troviamo di fronte a un disadattato, perseguitato dal fantasma del fallimento: Andrea è stato bocciato tre volte e, finalmente raggiunta la promozione, come regalo da parte dei suoi genitori riceve un prezioso biglietto per il concerto di Pollini. Il posto è centrale, nelle primissime file, il concerto inizia alle 22.00, esattamente un’ora dopo l’orario stabilito, ma il nostro appassionato e “leggermente ossessionato” sedicenne è seduto già da tempo in posizione di attesa. La voce al microfono annuncia cinque minuti all’inizio, lo ripete «per sette volte», il maestro, però, non esce mai in scena. Ogni avviso è una nuova delusione, Andrea sembra attendere uno spettacolo che non è destinato a cominciare. Qualcosa in quel momento si stava preannunciando? Anche il sipario della sua vita si è aperto in ritardo? L’andamento della sua esistenza, sinora vissuta, ha già deluso le aspettative del pubblico?
Stupisce che ogni cosa anticipata, infine, come per magia, si compie sul palco: al racconto del concerto di pianoforte segue l’esibizione di un vero pianista: Andrea appunto, nei panni di se stesso. Andando avanti nella conversazione, sono le battute di Nanni Moretti – la cui voce esce dalla bocca di Andrea, come se si realizzasse un’immedesimazione totale e fisicamente tangibile tra lui e il suo mito – ad essere riprese dal performer in scena. Il film è subito riconoscibile: Sogni d’oro. Le parole pronunciate sono quelle più intimamente legate alla storia di Trapani: «Perché io non lo voglio superare il complesso di Edipo!». Difatti, con questi riferimenti, rivendica nevroticamente il suo diritto a non voler diventare grande, a non dover essere necessariamente qualcuno. Segue poi l’interrogativo angoscioso e al tempo stesso autocommiserativo rivolto alla madre: «Chi sono io, mamma?»
Interessante è la ricerca quasi ossessiva di affinità con figure disturbate e disturbanti, tormentate e insoddisfatte di sé, eppure fortemente autoironiche, come ironica è la sottile natura che avvolge l’intera esibizione. Baudelaire, morto a quarantasei anni, solo, e Andrea, che a cinquant’anni ancora vive in triste solitudine, cos’altro hanno in comune? La recitazione de L’Albatro, accompagnata dalle note del piano, ci fornisce un’interessante, seppur labile, risoluzione: «Com’è sinistro e fiacco il viaggiatore alato! Lui, poc’anzi così bello, com’è comico e brutto!». Il poeta è «un esule in terra»nei versi di Baudelaire, incapace di sopportare su di sé il peso delle proprie ali, perché troppo grandi. È questo senso di inadeguatezza di fronte alla modernità, orientata verso l’utilitarismo e vuota, che accomuna i due?
La messinscena assume le sembianze ambigue di un delirio spettacolarizzato, al punto che diviene impossibile comprendere se a parlare è Andrea o Baudelaire, o ancora Nanni Moretti. Chi dice cosa? Forse l’interprete e la poesia sono reciprocamente necessari: il primo non potrebbe vivere senza la dimensione altra in cui lo trasportano i versi, la seconda – contraddicendo il principio stesso di simbolisti e decadenti – non avrebbe motivo di sopravvivere se compresa e interpretata solo da pochi eletti. Il senso profondo della trasposizione delle rime nella forma dialogica quotidiana – con il rispettivo sottofondo musicale, la cui melodia pare rievocare personali sofferenze interne, – è quindi il seguente: poesia e vita sono la stessa cosa. Non può esistere l’una senza l’altra, in ogni tempo e in ogni luogo. Andrea Trapani dimostra di essere in grado di interiorizzare l’esigenza stessa che si nasconde dietro l’atto creativo della scrittura poetica, mettendo in scena una conversazione che è, al contempo, una fusione di corpi tra lui e il Maledetto.
Indossando una maschera con grandi orecchie da asino, Andrea Trapani si redime e si condanna, come le grandi icone contemporanee e del passato che celebra. Ha un bisogno impellente di dissimulare il suo volto, di camuffarlo con travestimenti e parrucche per fuggire dal suo Io ingombrante ma, paradossalmente, anche per imparare ad accoglierlo e, così, accettarsi. Diverso e mai pienamente integrato, è un adulto-bambino, eternamente infantile, ma costretto interiormente a maturare in maniera precoce. Appare nevrotico e rabbioso, ma anche fiero. L’atto finale è emblematico: Andrea Trapani è Freddie Mercury, che canta il suo inno alla vita, alla disperazione, alla libertà e al coraggio di essere ciò che si è, di fare quello per cui si è nati. Per Baudelaire la strada verso la salvezza è la poesia. Per Andrea Trapani la definitiva salvazione è la recita, la strategia più autentica e sincera per poter realizzare sul palcoscenico la sintesi completa di tutti i piccoli frammenti del suo Io.
Who wants to live forever? Questo è senza dubbio un desiderio che accomuna tutti: vivere per sempre. Ovviamente si tratta di un obiettivo irrealizzabile. Esistono, però, persone la cui memoria si conserva per un tempo eterno, il cui ricordo sopravvive vivido e invadente. Questi individui sono coloro i quali osano mettersi a nudo, amare senza limiti, fare della vita il proprio sogno e viceversa. Hanno l’ardire di abbracciare la maledizione (o benedizione) per la quale sono stati messi al mondo.
Immagine in evidenza: ufficio stampa Teatro Galleria Toledo