Recensione dello spettacolo A lo stesso punto (però a n’ata parte), scritto da Paolo Capozzo per la regia di Gianni Di Nardo.
Cosa accadrebbe a due personaggi se fossero dimenticati in un teatro chiuso? E cosa proverebbe un attore a vedersi privo del suo palcoscenico? Questi gli interrogativi dietro ad A lo stesso punto (però a n’ata parte) con la regia di Gianni Di Nardo, in scena al TRAM dal 25 al 28 Novembre chiudendo il “primo step” della stagione del teatro di Via Port’Alba.
Il testo, scritto da Paolo Capozzo per la regia di Gianni Di Nardo, proviene dalle domande che hanno tormentato gli attori in lockdown: Ora che i teatri sono chiusi e non sembra esista una soluzione all’orizzonte, cosa sarà del nostro lavoro, dei nostri spettacoli, della nostra vita? Il pubblico viene accolto da una scenografia scura, fatta di quattro pannelli coperti di nero, al centro un albero e un baule. Attaccati a quest’albero troviamo due zuorri, personaggi del teatro popolare, che dormono appesi per il collo, un’immagine già forte che richiama quello che i personaggi (e gli attori) sentono a causa della chiusura dei teatri: un cappio alla gola. Compà Prisco (Paolo Capozzo) e Compà Mustino (Maurizio Picariello) sono due personaggi di un testo ormai dimenticato che si risvegliano in un teatro chiuso e, annoiati dalle solite battute, tentano di reinventarsi. Prisco, tra i due, è il più convinto della necessità di un makeover ed è lui che rinviene nel baule una raccolta di copioni teatrali di alcune delle più significative opere e si appresta a rappresentarle insieme a Mustino.
Un elemento che rende ancora più farsesca la storia di Prisco e Mustino è il linguaggio, infatti l’intera opera è in metalinguaggio irpino, una sperimentazione portata avanti già da anni – come dichiara Capozzo – di una lingua non esistente nella realtà che mescola le sonorità dell’appennino Meridionale, una scelta rischiosa, ma che efficacemente sottolinea l’essenza dei due personaggi.
Ironica è la scelta di cominciare il viaggio di Prisco e Mustino attraverso nuove vite proprio con Aspettando Godot: dopo essere stati in vana attesa del loro pubblico, si trovano nuovamente ad attendere un Godot che non arriverà mai, tuttavia si troveranno davanti un esilarante Pozzo (Vito Scalia) e l’opera assumerà tratti surreali e grotteschi dovuti all’inadeguatezza dei due zuorri e sottolineati dalla loro lingua. Mentre continua il viaggio che li porta sempre allo stesso punto, seppur teoricamente da un’altra parte, piano piano vengono scoperti i quattro pannelli coperti di nero presenti in scena. La seconda opera ad essere ricordata è Sogno d’una notte di mezza estate, con un esilarante intreccio legato ad un errore di Puck e del suo “fiore” magico. Si passa poi per Natale in Casa Cupiello e si ritorna su Shakespeare con l’iconico Romeo e Giulietta, tutte scene comiche e grottesche in cui il pubblico non può che ridere, ma che rivelano il fallimento dei due personaggi nel loro tentativo di essere qualcosa che non sono. Chiuse le parentesi delle altre opere, infatti, Mustino e Prisco si ritrovano a chiudere il ciclo iniziale. Dopo una funzione funebre mal celebrata che rivela addirittura le loro tombe, configurando i personaggi come spettri, i due tornano allo stesso punto iniziale, metafora di come in lockdown l’attore pur provando a reinventarsi non può tradire ciò che è la sua essenza. E così, Mustino e Prisco tornano a dormire, come all’inizio, semplicemente invertendosi di posto, trovandosi nuovamente a lo stesso punto, però a n’ata parte.
Photo Credit: Teatro TRAM