I Cavalieri di Aristofane in una messinscena originale e politica di Cinzia Maccagnano, al Teatro Arcobaleno fino al 6 aprile
Ambientazione circense e incipit in musica per una rivisitazione inedita de I Cavalieri di Aristofane.
La regia è di Cinzia Maccagnano. Sulla scena, Cinzia Maccagnano, Luna Marongiu, Raffaele Gangale, Cristina Putignano, Marta Cirello, Andrea Maiorca, Maria Chiara Pellitteri.
I Cavalieri di Aristofane
«In questo buio c’è sempre qualcuno che scoppia a ridere», sostengono i due servitori che raccontano la storia.
In quel riso c’è un po’ del pirandelliano sentimento del contrario; un riso che squarcia il velo di Maya e consente di comprendere la verità sotto alla facciata del mondo.
Atene è rimasta al buio da quando la politica è diventata demagogia. Il Demos – il popolo – è un vecchio incontentabile sempre affamato che ha in mano le sorti della città. Ha scelto come primo ministro Paflàgone, un conciapelli che tiene un piede nella piazza e uno nel Senato, per non scontentare nessuno.
Nel momento in cui Paflàgone svela tutto lo squallore che lo contraddistingue e la degenerazione demagogica sembra inarrestabile, i più arguti comprendono – e lo conferma anche un oracolo, il pretesto che usa chi vuole dare fondamento alla verità che preferisce – che soltanto un farabutto più furbo e disonesto di lui può distruggerlo e allontanarlo.
Ne I Cavalieri la scelta ricade su un salsicciaio ignorante, rozzo, incompetente e sostenuto per tutta la commedia da un coro di Cavalieri, la classe sociale più rilevante nell’Atene del V a. C. e più ostile ai demagoghi.
Il salsicciaio non ha arte politica, ma possiede tutto ciò che occorre per governare il popolo: voce da fesso, genitori di basso lignaggio, modi volgari.
I due servitori si rivolgono a lui, che «di coraggio non difetta», per vincere Paflagone con le parole, perché tanto dei fatti poi nessuno si preoccupa troppo. L’importante è dare qualche foglia di insalata al popolo quando manca l’insalata e qualche alice a buon prezzo ai senatori.
La politica, ieri e oggi
Anche il popolo può essere tiranno, anche il Senato può cedere per un soldo di cipolla.
È la storia di ogni popolo e di ogni epoca, la storia della politica che si fa imbroglio, raggiro e manipolazione. Si fa parole acconciate come le pelli messe in fila per creare giochi incomprensibili ma suadenti, accompagnati da gesti da giostraio.
“L’onestà è lodata da tutti, ma muore di fame”, dirà Giovenale.
Ma questa messa in scena da Aristofane nel 424 a.C. e qui riproposta dalla Maccagnano è soprattutto la storia dell’Atene democratica, minacciata da uomini come Cleone, bersaglio preferito di Aristofane. E di un Demos che facilmente accetta di essere burattino nella mano del più forte e del più abile a illuderlo di essere libero.
Tutta la trama de I Cavalieri si gioca su un duello senza armi tra questi due improbabili politici. Da una parte Paflàgone dal dubbio saluto appena accennato e dall’abbigliamento marziale, dall’altra il salsicciaio che per presentarsi al popolo fa un goffo balletto fin troppo noto, che ricorda qualcuno.
I Cavalieri al Teatro Arcobaleno
Citazioni importanti, riconoscibili e ragionate suggeriscono i molteplici livelli di lettura del testo, proprio come l’originale greco.
La scrittura è valorizzata da un ritmo incalzante e da un finissimo e continuo movimento corale degli attori, studiato e mai superfluo.
Le musiche intense di Lucrezio De Seta e AA. VV coesistono intelligentemente con una comicità marcata, a volte sguaiata, ma ricercata, sostenuta dalle maschere classiche di Luna Marongiu.
La Maccagnano entra nel testo, ci naviga dentro, ci va a fondo, ne recupera i fili e li intreccia per portare in superficie tutti i sottotesti di Aristofane. E lo fa con finezza, complessità, eclettismo e cultura. Insomma, non imita, ma crea sul testo del commediografo ateniese un teatro nuovo che intrattiene, ispira e ammonisce al tempo stesso.
Come il teatro dovrebbe sempre fare.
Foto da archivio personale