Il Grande Vuoto di Fabiana Iacozzilli al Teatro Bellini | Recensione

Il Grande Vuoto di Fabiana Iacozzilli (Teatro Bellini) | Recensione

Recensione de Il Grande Vuoto di Fabiana Iacozzilli con Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e con Mona Abokhatwa

Un cumulo di foto, polvere su oggetti che raccontano una storia, immagini e frammenti che scivolano verso un tetro e immemore abisso. Il Grande Vuoto, andato in scena al Teatro Bellini di Napoli, racconta con feroce e poetica intensità gli ultimi mesi di una madre lentamente erosa dalla malattia. Una malattia che non sconvolge solo la sua esistenza ma anche quella di chi le sta accanto, dei suoi due figli, che si ritrovano frustrati e inermi, fagocitati anche loro da quel mostro invisibile chiamato Alzheimer.

Il fumo dei ricordi. Ricordi in fumo. 

Lo spettacolo si apre con una anziana coppia che battibecca da una vecchia e malandata Fiat 127 rossa, posizionata al centro del palco. Il loro scambio di battute è intriso di quella quotidianità intimità che solo un amore vissuto a lungo sa regalare. Tra le pieghe di questo affettuoso dialogo, emergono, tuttavia, i primi segnali della psicosi senile. A suggerirlo sono piccole mancanze: le medicine dimenticate, le buste appoggiate sul tettuccio invece che riposte nel cofano, il ripetere continuamente gli stessi concetti, le stesse frasi ormai logore. Eppure, non mancano gesti di tenerezza: una mano che si stringe per confortare, ricordi condivisi a cui aggrapparsi, e una vecchia canzone che sembra, per un attimo, placare ogni inquietudine. Ma quell’insieme di momenti felici è solo un ricordo. Il fumo del tempo finisce per avvolgere la macchina, dalla quale la donna inerme viene prelevata. Il passaggio alla scena successiva è volutamente brusco: gli attori prelevano di forza la donna, poi spostano la vettura, e infine rivelano il nuovo setting scenografico, una sala da pranzo. La scelta registica non è casuale, tutt’altro.  L’idea è proprio quella di esprimere lo sforzo che Francesca (Francesca Farcomeni) e Pietro (Piero Lanzellotti) stanno facendo. Determinata e risoluta lei, più pacato e bonaccione lui, i due fratelli si ritrovano a dover affrontare non solo il lutto per la perdita del padre (Ermanno De Biagi), ma anche il progressivo peggioramento dell’istrionica madre.

Tra riso, negazione e consapevolezza

Il secondo quadro che lo spettacolo propone è, appunto, quello di un pranzo. Un momento apparentemente sereno e conviviale si trasforma nell’avvilente presa di consapevolezza di quanto sta accadendo. La mente dell’ex attrice, il cui cavallo di battaglia è quel Re Lear che, non a caso, cita in continuazione, comincia a tradirla, e la situazione, che parte come comica – riderci su e non prendersi sul serio è la prima risposta in questi casi – diventa estremamente tragica. L’entrata improvvisa della badante (Mona Abokhatwa) sul palco segna un primo accenno di resa. I due, superate le fasi di preoccupazione e di non accettazione, provano così a delegare parte del problema a un’estranea che, metaforicamente e non, si occuperà delle necessità della donna, oltre che di sistemare quegli oggetti che saranno cruciali da lì a breve.

Una vita ridotta a oggetti e silenzi: Il Grande vuoto

Telecamere di sorveglianza e una voce fuori campo. Gesti privi di direzione, frammenti in bianco e nero di una vita ormai alla deriva. La voce narrante della figlia a interrogarsi su dove sia finito il senso di quell’esistenza. Nel terzo “quadro” di una drammaturgia – firmata da Linda Dalisi e Fabiana Iacozzilli – che si snoda attraverso silenzi, accenni e gesti, assistiamo al completo disfacimento della donna. Sullo schermo del videowall, altra trovata scenica degna di nota di Paola Villani, la vediamo vagare senza meta verso un non-luogo, un limbo popolato dalla confusione, la stessa di quel tavolo dove non ci sono più né la celebre zuppa di ceci né i pasticcini al cioccolato tanto amati dal marito, ma soltanto una montagna di cimeli. Giocattoli, cartoline, vestiti logori: tutto ciò che un tempo era, ora giace lì, disperso, lontano dai confini della sua mente.

Un atto finale che trasforma il dolore in bellezza

Il Grande Vuoto, capitolo finale della “Trilogia del Vento” (che include La Classe e Una cosa enorme), si chiude con una scena del fortissimo impatto emotivo e visivo. Quello a cui assistiamo è una sgangherata recita di un frammento di quel Re Lear al femminile – velato omaggio alla straordinaria carriera di Giusi Merli – che la donna tanto amava recitare. Non esistendo una vera cura per la malattia, non ci rimane che sovvertirne le drammatiche implicazioni, tornando per un attimo bambini, riscoprendo la meraviglia del giocare insieme. E mentre il fondale dorato lentamente si sgretola, così come la memoria della donna che non ricorda più nemmeno le battute, lasciando spazio a coriandoli colorati sparpagliati da due ventilatori, una verità si palesa. Quella domanda, che qualche minuto prima sembrava non avere risposta, ora risuona come retorica: “Il punto è trasformare il dolore in bellezza. Ci riusciremo ancora?” La risposta è sì. Ci riusciremo grazie ai ricordi, la cui fugacità resta impressa in rughe, espressioni, ossa e sangue. E grazie al teatro che sa eternare ogni storia, volto, parola e interprete. L’arte, in alcuni momenti, sembra quasi in grado di fronteggiare la morte. Forse non potrà mai sconfiggerla davvero, ma non importa. In quel tentativo, in quell’anelito di vita così intenso e disperato, si cela tutto ciò che siamo; lì è racchiusa la meravigliosa tragedia dell’essere. E questa trilogia, grazie al talento dei suoi interpreti, all’umanità geniale della sua regista e alla perfezione tecnica che la contradistingue, riesce a sintetizzare questa tragicità in modo sublime.

Applausi.

IL GRANDE VUOTO

uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli
drammaturgia Linda Dalisi, Fabiana Iacozzilli
dramaturg Linda Dalisi
regia Fabiana Iacozzilli
con Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e con Mona Abokhatwa per la prima volta in scena
progettazione scene Paola Villani
luci Raffaella Vitiello
musiche originali Tommy Grieco
suono Hubert Westkemper
costumi Anna Coluccia
video Lorenzo Letizia
aiuto regia Francesco Meloni
scenotecnica Mauro Rea, Paolo Iammarrone e Vincenzo Fiorillo
fonico Jacopo Ruben Dell’Abate, Akira Callea Scalise
direzione tecnica Francesca Zerilli
assistenti Virginia Cimmino, Francesco Savino, Veronica Bassani, Enrico Vita
collaborazione artistica Marta Meneghetti, Cesare Santiago Del Beato
foto di scena Laila Pozzo
ufficio stampa Antonella Mucciaccio
produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello Centro di Produzione Teatrale, La Corte Ospitale, Romaeuropa Festival
con il contributo di MiC – Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna
con il sostegno di Accademia Perduta / Romagna Teatri, Carrozzerie n.o.t, Fivizzano 27, Residenza della Bassa Sabina, Teatro Biblioteca Quarticciolo

Fonte immagine per la recensione de Il Grande Vuoto: ufficio stampa

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A proposito di Marcello Affuso

Direttore di Eroica Fenice | Docente di italiano e latino | Autore di "A un passo da te" (Linee infinite), "Tramonti di cartone" (GM Press), "Cortocircuito", "Cavallucci e cotton fioc" e "Ribut" (Guida editore)

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