Tutti noi, nell’approfondire le vite controverse di certi scultori, pittori o poeti, abbiamo immaginato i rapporti intricati che potevano intercorrere tra loro e i propri modelli. Difatti, la contrapposizione creatore-creatura si è sempre rivelata la conditio sine qua non perchè un’opera passasse alla storia, come testimoniano le vicende narrate nello spettacolo Il modello di Rodin al Nouveau Theatre de Poche.
Il monologo, scritto da Antonio Mocciola, trova degli espedienti drammaturgici originali per dare voce, in modo straordinariamente autentico, ad Auguste Neyt. Si tratta di un soldato ventiduenne che nel 1876 posò per la realizzazione de L’Age d’airain (L’età del bronzo) di Auguste Rodin (scultura diventata celebre anche a causa dello scandalo che provocò al Salon di Parigi). Fu questa circostanza a far scaturire il pericoloso legame di interdipendenza, paura ed ossessività, che Il modello di Rodin riesce perfettamente a trasmettere, non senza l’audace interpretazione di Giordano Bassetti.
Se da un lato Auguste Neyt si sente quasi costretto a mettersi a disposizione dell’artista (poiché probabilmente bisognoso di risorse in seguito alla sconfitta nello scontro tra Francia e Prussia del 1871), dall’altro si sente attratto dal suo spirito sicuro e suadente. Egli finisce per subire la sua influenza a tal punto da iniziare a dipendere dalla sua approvazione (ferrea nel voler contemplare esclusivamente la perfezione). Nello spettacolo Il modello di Rodin, egli rinuncia ad ogni forma di rispetto, nell’attesa di un cenno che possa dare sfogo al suo desiderio mentre dentro di se matura la fascinazione per un uomo potente. Come mezzo per esternare tutto questo, oltre alle parole travolgenti e zelanti scelte da Antonio Mocciola, il personaggio si arma sopratutto della propria nudità sullo sfondo di una scenografia del tutto spoglia che ne accentua il significato profondo e puro.
Non è facile accettare l’idea che una creazione come una scultura debba sopportare lo strascico indelebile dell’esistenza di un’ispirazione, soprattuto se consideriamo che quest’ultima sia la prova imprescindibile che l’arte non ha alcun potere sullo scorre del tempo. Nel suo studio privo di specchi Auguste Rodin cerca riparo dalla caducità che incombe su di lui, probabilmente lo scultore trova il modo di tenere il ragazzo incatenato a se proprio per non perdere quella visione di giovinezza che tanto invidia e brama. Nel corso della narrazione in Il modello di Rodin, lo spettatore ha modo di rendersi conto che è proprio qui che il malsano rapporto tra i due affonda le radici.
Infine, nello spettacolo Il modello di Rodin si affronta con grande coraggio drammaturgico e stilistico un tema complesso e facilmente fraintendibile ma che conserva un’estrema innocenza e fragilità. Può sembrare che questa sia una storia di sottomissione, ma si tratta piuttosto di una scalata verso la libertà interiore.
Il modello di Rodin, testo e regia di Antonio Mocciola, aiuto regia Barbara Lafratta, con Giordano Bassetti. Per una produzione Nouveau Theatre de Poche la cui direzione artistica è a cura di Massimo De Matteo, Sergio Di Paola e Peppe Miale.
Fonte dell’immagine in evidenza per “Il modello di Rodin (Nouveau Theatre de Poche) | Recensione”: ufficio stampa.