Il viaggio di Nabil ha aperto la stagione 2023/2024 del Teatro Instabile, la seconda sotto la direzione artistica di Gianni Sallustro. Lorenzo Sarcinelli, Gianluca Pugliese, Vladimir Randazzo e Antonio Ciorfito sono stati diretti da Stefano Amatucci, alla regia di uno spettacolo tratto dall’omonimo poemetto in versi di Daniele Virgilitto, la cui riduzione teatrale è stata affidata a Fabio Pisano.
Nabil è uno studente egiziano che intraprende un viaggio clandestino per l’Italia con l’obiettivo di ritrovare Yara, la sua ragazza scomparsa ad Alessandria. Qui la narrazione intreccia la politica: la sparizione di Yara avviene dopo l’arresto di suo fratello Tarek, che aveva criticato sul suo blog il regime di Bashar-Al Assad, alla guida della Siria dal 2000. Il padre di Yara e Tarek, medico facoltoso, avrebbe dunque contattato un suo amico a Pordenone per chiedergli protezione lontano dall’Egitto.
Durante il suo viaggio, Nabil vivrà emozioni, pericoli e incontri difficili da dimenticare. In un barcone in cui «si trema come foglie dentro il vento» Nabil fa la conoscenza di Semira, levatrice di fortuna che ha «la voce debole come le mani» e ha attraversato il Sahara per rincontrare suo figlio, emigrato qualche anno prima a Berlino. Bashir, invece, arriva dal Pakistan e segue le orme del padre, che su quella stessa tratta ha perso la vita. Ma, come ripete allo studente egiziano, «meglio morire oggi che essere morti tutti i giorni».
Il viaggio di Nabil esorta a restare umani. Ricorda agli spettatori che il mare – per gli occidentali fonte di divertimento e svago – è anche fato, luogo di paura che produce come una catena di montaggio orfani e vedovi. «Il mare accoglie tra le sue braccia scure i figli dati in prestito alla Terra». Quel velo dai mille colori – azzurro, cobalto, nero – ingloba storie, silenzia amori. Verità che ben racconta lo spettacolo, intriso di speranze e paure che spesso chi vive da quest’altra sponda del Mediterraneo tende a non considerare. In un bilancio dai tanti numeri e pochi volti, i migranti finiscono col perdere la loro umanità – che per Pasolini non è altro che l’umano nell’uomo. Il viaggio di Nabil ricorda proprio questo, sbatte la realtà in faccia allo spettatore facendogli capire cosa vuol dire essere migrante e affrontare la morte per poter vivere.
Lo spettacolo, così come il poemetto da cui è tratto, è un pugno nello stomaco. Si esce provati dalla sala e forse è giusto così. Per dare qualcosa in cambio, almeno per un momento, al nostro privilegio. Per ricordarci, se mai ce ne fosse bisogno, di restare umani.
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Il viaggio di Nabil arriva al Teatro Instabile | Recensione