La semplicità ingannata al Teatro Nuovo | Recensione

La semplicità ingannata

La semplicità ingannata è andato in scena dal 20 al 23 febbraio al Teatro Nuovo. Marta Cuscunà ha scritto e interpretato un testo satirico e provocatorio che contiene in sé i due punti cardine della lotta umana: il dovere di ribellarsi e il diritto di informarsi.

Dati i tempi che corrono, La semplicità ingannata – un titolo che più esplicativo non si può – si rivela un testo ancora urgente, considerando che l’attuale Presidente del Consiglio ci tiene a rivendicare il suo essere donna in quanto madre e cristiana, riducendo il suo stesso sesso a un dogma da seguire, quello stesso che le Clarisse del Santa Chiara di Udine si adoperarono per contestare con fervore e intelligenza.

Marta Cuscunà: un’artista totale

Marta Cuscunà è autrice e performer di teatro visuale, nella sua ricerca unisce l’attivismo alla drammaturgia per figure. Si ricordano tra i suoi maestri Joan Baixas, con cui approfondisce i linguaggi del teatro visuale, José Sanchis Sinisterra, Christian Burgess e altri ancora. Risale al 2012 il suo secondo progetto inedito, La semplicità ingannata, in cui la documentazione storica si mescola con la vocazione artistica prendendo forma in una messinscena teatrale audace, senza peli sulla lingua, del tutto incurante del politically correct.

La semplicità ingannata: le ingegnose sorelle si beffano dell’Inquisizione trasformando il Monastero da una prigione alla Biblioteca di Babele

Marta Cuscunà al centro del palcoscenico, illuminata da una sola luce gialla, è la voce narrante di una storia liberamente ispirata alle opere letterarie di Arcangela Tarabotti e alla vicenda delle Clarisse di Udine. Ci racconta che nel Cinquecento avere una figlia femmina significava subire una grande perdita economica. Così, ne La semplicità ingannata, Marta Cuscunà interpreta la donna remissiva, accondiscendete, timida e silenziosa, la cui dote è molto alta perché le sue qualità sono altrettanto considerevoli.

Si gira di spalle e in batter d’occhio si trasforma nella donna dal temperamento irascibile e con la risposta pronta, più difficile da maritare perché non facile da tenere a bada. Non manca la zoppa e menomata, quella che solo i vedovi vecchi e disperati potrebbero prendere in sposa.

Ne La semplicità ingannata, l’inganno è, però, subito svelato. Ecco che la fila delle figlie da scartare si sfoltisce agevolmente, perché esiste il marito perfetto per loro, il grande inganno, semplice come una visione, candido e puro come un bambino: Dio. Le figlie imperfette saranno accolte in monastero, diventeranno sorelle.

La semplicità ingannata ci rivela cosa può succedere quando un gruppo di «figlie femmine» mette insieme le proprie energie e le proprie idee. Si tratti pure di un reclutamento forzato, il risultato non cambia. La sorellanza è una forza della natura, come il miracoloso potere di dare la vita – «e se Dio fosse donna?».

Marta Cuscunà dà voce a tutte quelle monache (e donne) che sono state azzittite, che sono rimaste mute, inascoltate, considerate sciocche e inermi pupazze.

Le Clarisse del Santa Chiara di Udine attuarono una forma di resistenza all’utilizzo delle vocazioni religiose a fini economici. Le loro parole d’ordine da preghiera, riflessione, solitudine furono sostituite in dissacrazione, contestazione e libertà di pensiero. Il loro convento si trasformò in una biblioteca di libri proibiti, tra i quali le versioni in volgare dei testi sacri, che fino a quel momento erano circolati solo in latino.

Un gioco semplice: il rovesciamento dei ruoli

La monacazione forzata è un inganno ed è un gioco semplice svelarlo. Le monache Clarisse scelgono di farlo utilizzando gli stessi strumenti dei poteri forti. L’Inquisizione e il mondo intero le considerava povere creature da compatire, pecorelle smarrite dedite alla supplica e sottomesse alle leggi di vita imposte. Allora ecco che fingono di essere come gli altri le guardano, si nascondono dietro le maschere che il patriarcato – che trova nella Chiesa la sua massima espressione – gli ha attribuito.

Marta Cuscunà dà il via a questa farsa, prende letteralmente per mano ogni monaca-pupazza e le consente di spostarsi dalla propria posizione, le dona un movimento, le fa spazio. Anche le voci delle Clarisse sono ognuna diversa dall’altra e tutte singolarmente caratterizzate.

L’attrice friulana, in La semplicità ingannata, è sé stessa e tutte le donne. Fa un regalo in particolar modo al pubblico femminile, e pure a quello maschile, non solo perché è un Dio sulla scenaimpeccabile doppiatrice, interprete instancabile, presente sul palco con ogni piccola particella del suo corpo -, ma anche per il suo testo, che mette in discussione questi presunti dogmi dei Padri di famiglia e del mondo.

La semplicità ingannata utilizza un gioco infantile, come quello delle bambole, per denunciare una questione scandalosa per tutti (adulti, bambini, uomini, donne, persone non binarie e chi più ne ha più ne metta) e purtroppo ancora aperta, finanche divina: la parità e l’uguaglianza.

Scendiamo con i piedi per terra, attraversiamola la terra e sovvertiamone le leggi, le quali altro non sono che costrutti degli uomini. Non lasciamoci ingannare con una tale semplicità.

fonte foto: ufficio stampa

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A proposito di Chiara Aloia

Chiara Aloia nasce a Formia nel 1999. Laureata in Lettere moderne presso l’Università Federico II di Napoli, è attualmente studentessa di Filologia moderna.

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