Gli antichi affidavano al teatro quanto di più prezioso esiste, la paideia, l’educazione del cittadino. In quanto specchio del mondo, il teatro da sempre è il luogo di rappresentazione delle contraddizioni che lacerano la realtà e delle coscienze dei suoi abitanti. E nell’abisso di una di queste contraddizioni sprofonda e ci fa sprofondare un gigantesco Davide Enia, portando in scena dall’11 al 16 gennaio, al Teatro Bellini di Napoli, un racconto vero, drammatico, urgente: il dramma dei migranti.
Lo fa affidandosi alle componenti essenziali del teatro: voce e gesti. Lo fa in una scenografia pressoché inesistente, perché non serve altro a catturare lo sguardo e l’anima dello spettatore. La sua voce e i suoi gesti bastano. Bastano a rendere ciò che ha visto nella Lampedusa degli sbarchi, le angosce e le speranze che ha sentito raccontare da pescatori, medici, sommozzatori in un siciliano stretto stretto. Bastano a rendere le lacrime versate e le parole soffocate da un dolore tanto grande.
«Il primo sbarco l’ho visto a Lampedusa assieme a mio padre. Approdarono al molo in tantissimi, ragazzi e bambine, per lo più. Io ero senza parole. Era la Storia quella che ci era accaduta davanti. La Storia che si studia nei libri e che riempie le pellicole dei film e dei documentari.»
Un padre e un figlio che guardano la Storia dispiegarsi davanti ai loro occhi. La storia di un naufragio personale e collettivo è quella che ci racconta Davidù, con una sensibilità lacerante, con una forza che arriva come un pugno in faccia, con un realismo che rende carne ogni parola, ogni sospiro, ogni silenzio. Canti di pescatori, cunti palermitani e preghiere rivolte ad un mare impietoso, che vomita pesci e cadaveri, e uomini, e donne e picciriddi. Il Mediterraneo, camposanto di anime: la morte raccontata attraverso la vita.
Una Storia di uomini che lui, uomo, non può non raccontare. Il suo dolore, privato, si intreccia a quello collettivo in un racconto tragico in cui non mancano i momenti leggeri, a tratti comici, e prende forma in un romanzo prima, in uno spettacolo poi, in cui le parole sono accompagnate dalla doppia chitarra di Giulio Barocchieri, presenza imprescindibile della pièce. L’Abisso, meraviglioso lavoro di e con Davide Enia, che si è aggiudicato, nel 2019, il Premio Ubu, il Premio Hystrio e il Premio Le Maschere del Teatro, nasce dal romanzo Appunti per un naufragio, vincitore a sua volta, nel 2018, del Premio Mondello.
75 minuti di apnea per lo spettatore che annaspa tra le onde insieme ai sommozzatori, tira con ansia le reti insieme ai pescatori, sperando che oltre a triglie e calamari stavolta ci sia nuddu, che quasi vede il mare dal cimitero di Lampedusa insieme a Vincenzo, il suo storico custode. 75 minuti di apnea in un abisso che costringe a guardare in faccia la realtà e a scrutare nelle proprie voragini interiori.
Assolutamente consigliato!