Dal 17 marzo al 2 aprile Le Nuvole di Aristofane in scena al Teatro Arcobaleno di Roma per i trent’anni della Compagnia Castalia
“Sono Nuvole del cielo, divinità potenti per chi non ha voglia di fare niente: sono loro che ci danno l’arte del dire e del capire, dell’ingannare, del raggirare e dello stupire”.
Atene, 423 a.C. La Guerra del Peloponneso è iniziata già da qualche anno, da qualche anno è morto anche Pericle. Sono anni, nonostante tutto, di mirabile fervore culturale per la polis, di novità e di rivoluzioni del pensiero.
Alle Grandi Dionisie, Aristofane, non nuovo al pubblico ateniese, porta in scena Le Nuvole, in cui alla parodia politica aggiunge quella culturale, quella sociale, quella dello scontro generazionale. Nell’agone, però, non va oltre il terzo posto.
Bersaglio della commedia è tutto ciò che minaccia di sovvertire la tradizione della polis e il suo sistema di valori. Nel caso di Aristofane, questa minaccia ha un nome ed è Socrate. Nemico della città, seducente mistificatore, corruttore dei giovani, bestemmiatore degli dei tradizionali, pericolo per i valori della tradizione, simbolo di una paideia nuova: nel Socrate di Aristofane ci sono tutte le accuse che poi avrebbero condotto il filosofo alla morte. Un Socrate appiattito e conformato a tutti gli altri Sofisti, corruttori, manipolatori delle menti e delle coscienze attraverso l’arte della parola, una parola strumentalizzata e violentata con il fine di raggirare l’interlocutore. La questione Socrate-Sofista è più complessa di così, ma Plutarco racconta che lo stesso Socrate si limitò a dire che a teatro si sentiva punzecchiato, come in un gran banchetto. Non troppo rancore, insomma. E la commedia, dopo tutto, funzionava.
La messinscena di Vincenzo Zingaro
Anzi, la commedia funziona ancora oggi. Lo ha dimostrato, con la sua consueta maestria, il regista Vincenzo Zingaro che dal 17 marzo al 2 aprile riporta in scena, al Teatro Arcobaleno-Centro stabile del classico di Roma, proprio la più discussa e la più pungente delle commedie aristofanee. La scelta è un omaggio al trentesimo compleanno della Compagnia Castalia, con la quale nel 1992 ha iniziato questo percorso di rivisitazione della commedia attica antica; nel 2001, Zingaro ha scelto di restaurare e prendere le redini del teatro romano alle porte di Villa Torlonia, lo stesso che Gigi Proietti aveva scelto per il suo laboratorio di arti sceniche. Così è nato il Centro stabile del classico.
Lo scopo, ribadito dal regista, che alla fine dello spettacolo si è preso la scena per ringraziare spettatori, attori e collaboratori, è valorizzare la cultura classica come radice della cultura europea contemporanea, farne uno strumento di lettura della società e dell’uomo, uno stimolo per i giovani a recuperare la dimensione collettiva e costruttiva del teatro e del sapere. E se il teatro deve essere politico, attuale, scomodo, irriverente, la scelta non può che ricadere su Aristofane. Al coloratissimo potpourri aristofaneo di satira, allusioni oscene, paradossi, acrobazie lessicali e stilistiche, il regista aggiunge – e riporta in vita – anche i colori, i gesti, le danze, le musiche, le maschere, ricreando l’atmosfera di quel teatro democratico e performativo dell’antica Grecia, con tanto di frinire del grillo nelle prime scene di campagna.
Le Nuvole di Aristofane: trama e temi
Strepsiade, il protagonista tormentato dai debiti persino di notte, è Fabrizio Passerini, che decide di rivolgersi al pensatoio di Socrate e dei Sofisti, per apprendere il Discorso ingiusto, quello che permette di vincere ogni battaglia verbale, inclusi i creditori creditori in tribunale. Piero Sarpa è il figlio, Fidippide – ma interpreta anche il credibilissimo creditore beone dal “naso a pippa”; il ragazzo, indolente e viziato come la mamma, ha in testa soltanto i cavalli e i suoi muscoli e sperpera senza ritegno il patrimonio familiare.
Nel pensatoio i due protagonisti sono accolti da tre discepoli – Laura De Angelis, Sina Sebastiani e Valeria Spada – in scena con un aspetto simile a quello polli mascherati con gli occhi a terra intenti a cercare nuove idee e il sedere che nel frattempo guarda il cielo e studia l’astronomia; le attrici interpretano anche le tre coordinatissime e ieratiche coreute nuvole di bianco vestite che compongono il coro. Le Nuvole, inconsistenti, effimere e vane come le idee e le parole dei Sofisti, sono l’unico credo ammesso nella scuola di Socrate; il filosofo ha la voce e la gestualità raffinata di Ugo Cardinali, inviolabile e solenne, che nelle prime battute compare sospeso in aria, al di sopra del cielo, proprio come nella commedia originale. Cardinali dà voce, gesti e anima anche al personaggio del Discorso maggiore o giusto: appoggiato ad una traballante verga di legno, è lui il laudator temporis acti portavoce di Aristofane e del suo elogio dell’educazione di un tempo, severa e robusta. Accanto a lui si agita, invece, un brioso e sguaiato giovane Rocco Militano che, nei panni di un satiro, rappresenta il Discorso minore o ingiusto e i nuovi modelli educativi, molli e libertini, in cui la capacità argomentativa è più importante della validità delle argomentazioni. L’agone tra i due discorsi è la scena simbolo della commedia aristofanea, un’autentica rappresentazione del confronto tra vecchia e nuova educazione, quindi tra Aristofane e Socrate. La storia è nota, Fidippide si lascerà plagiare del tutto dagli intellettualoidi del pensatoio, tanto da picchiare il padre e convincerlo poi di avere anche ragione. Strepsiade, vittima del suo stesso tentativo di raggiro, darà fuoco alla scuola socratica e maledirà le nuvole e le nuove idee.
Le maschere di Rino Carboni
A rendere immersiva e suggestiva l’esperienza che Zingaro propone al suo pubblico contribuiscono le maschere indossate dagli attori, le stesse che la Compagnia Castalia indossava nella prima de Le Nuvole andata in scena a Palestrina nel 1992. Questi capolavori di artigianato furono, all’epoca, realizzati da Rino Carboni, lo storico truccatore dei film di Sergio Leone e lo stesso che ha lavorato a molte opere di Fellini, dando anima e corpo alle idee oniriche del regista.
È anche merito suo se, duemila quattrocento anni dopo, la platea ride e riflette ancora.
Fonte immagini: scatti personali