Con una prima che sa di trionfo. Così è tornato Carlo Buccirosso al Teatro Diana lo scorso 8 marzo. Ad accogliere il suo ultimo spettacolo, “L’erba del vicino è sempre più verde”, è stata una sala gremita ed estasiata, pronta a supportare gli attori in scena con risate e applausi. Un connubio che potrà rinnovarsi fino al prossimo 26 marzo, ultima data prevista al Diana.
L’erba del vicino è sempre più verde: la storia
Mario Martusciello (Carlo Buccirosso) è un funzionario benestante di banca trasferitosi in un moderno monolocale in seguito alla burrascosa crisi matrimoniale con sua moglie (Maria Bolignano). Qui vive un momento di profonda depressione, insoddisfatto del proprio tenore di vita, delle proprie ambizioni, delle proprie scelte, delle proprie amicizie. In continua spasmodica ricerca di libertà, di cambiamenti, di nuove esperienze e di un’apertura mentale che gli è sempre stata ostacolata dai sensi di inferiorità e dalla mancanza di spregiudicatezza, Mario guarda il mondo e le persone che lo circondano alla stessa stregua di un fanciullo smanioso di cimentarsi con le attrazioni più insidiose di un immenso parco giochi, cui non ha mai avuto l’opportunità di poter accedere… Ed è così che pervaso dall’adrenalina della novità, dall’eccitazione del rischio, nonché dalla paura dell’ignoto, si ritroverà presto soggiogato dalla sindrome dell’”Erba del vicino”, ovvero dalla sopravvalutazione di tutto quanto non gli appartenga.
Guai a credere che iniziare uno spettacolo teatrale dalla fine equivalga a rinunciare ai colpi di scena. “L’erba del vicino è sempre più verde” conferma la regola, disseminando qua e là elementi di suspense in grado di tenere alta l’attenzione del pubblico fino al plot twist finale. Come nel suo spettacolo precedente, “La rottamazione di un italiano perbene“, Carlo Buccirosso sviluppa la narrazione in verticale, sovrapponendo uno strato comico a un fondo drammatico, o filosofico. In superficie affiorano i temi che richiamano la risata e il coinvolgimento del pubblico, a partire dalla critica poco celata ai social network fino ad arrivare alla stereotipizzazione familiare basata sull’accostamento tra matrimonio e prigione.
Tra una battuta e l’altra, soprattutto a ridosso del finale, inizia a essere grattato il fondo drammatico, pregno di frustrazione e quesiti irrisolti. Emerge la paura di essere dimenticati dopo la morte, l’alienazione lavorativa, lo sfruttamento in cui spesso si traduce “un’amicizia” o la subdola manipolazione delle persone. Un viaggio introspettivo che, tra una risata e l’altra, lascia l’amaro in bocca allo spettatore che coglie la verità di fondo: siamo tutti un po’ Mario Martusciello.
Crediti immagine: Gilda Valenza, foto di scena