Una rilettura di Medea: Medea, una madre al Ridotto del Mercadante
Va in scena al Ridotto del Mercadante dal 16 al 26 marzo lo spettacolo Medea, una madre, di Liv Ferracchiati e Piera Mungiguerra e interpretato da Anna Coppola e Francesca Cutolo. Il testo è un viaggio tra le varie riletture che si sono susseguite di generazione in generazione su Medea, dai tempi antichi della celebre tragedia euripidea e dalla seguente rielaborazione di Seneca, fino ad arrivare alle riscritture più contemporanee di Pasolini, Antonio Tarantino e scambi di pensieri con Sandra De Falco.
Decostruire un classico: riflessioni
In una generazione culturale in cui sembra imporsi sempre di più l’esigenza di decostruire i significati e, pertanto, colpendo ciò che è stato imposto tradizionalmente come assoluto sentito come qualcosa di ormai passato, la rilettura Medea, una madre vi si inserisce perfettamente. Infatti, il testo innanzitutto sposta il focus dal soggetto-oggetto della tragedia, Medea appunto, e dal personaggio-causa e vittima della tragedia stessa, ovvero Giasone, ai figli di costoro modificando di conseguenza tutte quelle prospettive del mito che con le riletture più recenti hanno permesso di empatizzare in maniera specifica con i singoli personaggi. È un’operazione curiosa, che pare voglia non tanto recuperare quanto riaccostarsi a un tipo di esperienza collettiva e catartica propria delle tragedie greche antiche ma con la differenza che qui non si perde di vista il fattore psicologico di ciascun personaggio, tipico, invece, di un teatro impostosi dal Novecento che non stenta a perdurare ancora oggi. Anzi, la psiche dei personaggi viene accentuata con un’operazione analitica: Medea, una madre provvede a suddividere in più blocchi quell’insieme di spiegazioni che sono state offerte sul mito di Medea e provvede a scandagliarne le varie ragioni offrendone una nuova visione.
Questo intento di decostruzione di Medea, una madre viene eseguito proponendo la forma di uno spettacolo nel suo divenire, nel quale Medea è presenza costante e imprescindibile ed i suoi figli diventano attori della loro stessa tragedia, o meglio, si potrebbe dire delle tragedie che sono state scritte su di loro nel corso del tempo. Lo spettacolo, quindi, si presenta come un gioco costante di “dentro e fuori”, immedesimazione ed estraniazione, che consente anche di insinuare una certa comicità inaspettata eppure funzionale. A tal proposito, efficace la scelta scenografica di “disegnare” una linea rossa che accompagna lo spettacolo in questo suo sdoppiamento.
Ma qualche riflessione va fatta. Se nella prima parte Medea, una madre ha un ritmo che funziona nel suo progetto, nella seconda parte sembra avere un calo. Il rischio di affrontare un’operazione così analitica è quello di creare una semplice disamina delle varie letture, in questo caso, di Medea, perdendo anche un po’ di vista quei due interrogativi fondamentali per uno spettacolo: a quale pubblico mi sto rivolgendo? Perché lo sto facendo?
È sempre il solito punto che al giorno d’oggi riscontra non poche difficoltà nel teatro, e cioè quello di creare una drammaturgia, intesa in senso totale, che abbia il coraggio e l’energia necessari per osare, contribuendo a dare una linfa vitale, fresca, nuova al linguaggio teatrale. Non è una questione di giudizio sulla bellezza o meno dello spettacolo Medea, una madre, in generale quest’ultimo nasce da una proposta interessante e che ha tutti i presupposti scenici, drammaturgici, attoriali per entusiasmare; ma è una questione di insieme, di un’idea che c’è e che non si arrischia fino in fondo. Al di là di tutto, è un fattore culturale-teatrale sul quale va riflettuto affinché il teatro non venga identificato come un luogo morto.
Fonte immagine di copertina: Soheil Raheli