Memorie del sottosuolo di Marco Isidori | Recensione

Memorie del sottosuolo di Marco Isidori | Recensione

Da Dostoevskij alla Galleria Toledo: Memorie del sottosuolo di Marco Isidori

La compagnia Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa porta in scena al Teatro Stabile D’Innovazione Galleria Toledo di Napoli il monologo Memorie del Sottosuolo, tratto dal romanzo di Dostoevskij, riadattato drammaturgicamente da Marco Isidori, che ha curato anche la regia, e con Paolo Oricco nei panni dell’antieroe per eccellenza. Una menzione speciale allo scenario di Daniela Dal Cin, il Trionfo della Morte. Lo spettacolo è stato presentato dal 24 al 26 novembre 2023.

Una riflessione disperata sull’umanità

Si legge a proposito di Memorie del sottosuolo di Marco Isidori: «Da quanto tempo i Marcido pensano ad una messa in scena di Dostoevskij! Forse, dall’esordio della Compagnia; infatti, sempre i motivi del grande russo, attraversarono, e neanche troppo sotterraneamente, il nostro lavoro. Adesso abbiamo deciso di esprimere compiutamente in uno spettacolo, facendola esplodere, questa nostra tendenza dostoevskijana, prendendo per le corna quelle “Memorie del sottosuolo” che sono forse uno dei testi chiave dell’opera del russo, pronti ad affrontare una misura certo non facile e carica di rischio, ma per noi di straordinario fascino drammatico. I Marcido hanno voluto che il teatro mostrasse appunto che al gorgo altalenante della gioia e della disperazione, l’uomo non può sottrarsi. Certamente il Teatro, se deve portare un simile peso, non può accontentarsi dell’usuale canonica, deve, almeno tendenzialmente, fare lo sforzo di sporgersi oltre sé stesso; magari rinunciando, magari fallendo, magari equivocando, comunque sempre tentando di mostrare quel che nella normale prassi delle scene, resta celato. Questa almeno è stata la nostra scommessa».

Eppure, c’è da chiedersi: è stato realmente così per questa versione di Memorie del sottosuolo di Marco Isidori?

Certo, non si può negare che Dostoevskij resti un classico e che, come tale, sia sempre capace di avere tanto da dire alle generazioni future: in un tempo in cui siamo abituati a vincere, a rincorrere una perfezione malata, a mostrarci perfettamente adattati trascurando la propria intima soggettività, un testo come Memorie del sottosuolo manifesta un andamento che va esattamente nella direzione opposta. E allora, Marco Isidori attraverso l’interpretazione di Paolo Oricco, porta sul palcoscenico l’esempio di un antieroe, un personaggio che non stenteremmo a definire un perdente, un personaggio che per sfida contro l’ipocrisia del tempo sostiene di toccare il fondo, un limite di depravazione quasi assurdo, e in un certo senso ne fa un vanto. Ma, in realtà, il suo è un grido di disperata esigenza di verità.

Attuale, non lo si può negare. Ma, volendo tralasciare per un attimo il contenuto e volendoci soffermare, invece, sulla modalità scenica di Memorie del sottosuolo di Marco Isidori, lo spettacolo a chi si rivolge? Sia chiaro ancora una volta: non è una questione di contenuto e di pensiero dietro alla scelta di portarlo sulle scene ai giorni nostri, perché come abbiamo già visto la sua capacità di parlare ancora adesso può essere benissimo definita indiscutibile. Ma la questione riguarda la modalità scenica, la scelta di un certo linguaggio e di una certa maniera di fare teatro.

Si parla tanto di aprire le frontiere del teatro, soprattutto ai giovani, perché in fin dei conti il teatro vive delle pulsioni del pubblico, nonché dei rinnovamenti delle generazioni. Ebbene, in che modo presentare un lungo monologo così, con un linguaggio talvolta molto ostico – perché di sicuro Dostoevskij non è una scrittura semplice e perfettamente conforme ai modi di scrivere attuali – può essere vicino al pubblico di oggi? Certamente, in un momento in cui il teatro viene reso così spettacolarizzato, un Memorie del sottosuolo di Marco Isidori ricorda la necessità di guardare anche al classico, alla radice, a una maniera teatrale pura e cruda; ma è opportuno altrettanto chiedersi in che modo fare incontrare questa “missione di verità teatrale” con un aggiornamento profondamente attuale del come presentarla sul palco, affinché il teatro sia più accessibile non soltanto agli addetti ai lavori. Dunque, sebbene in una prassi e una misura totalmente diverse, Memorie del sottosuolo di Marco Isidori diventa una questione più o meno simile a quella riguardante Clitennestra di Roberto Andò: è un problema di ritmo, di un teatro che si dice contemporaneo e che, ci si augura, ci possa credere fino in fondo osando.

Per l’immagine in evidenza: Ufficio Stampa      

A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson nasce il 26 Marzo 1998 a Napoli. Nel 2017 consegue il diploma di maturità presso il liceo classico statale Adolfo Pansini (NA) e nel 2021 si laurea alla facoltà di Lettere Moderne presso la Federico II (NA). Specializzanda alla facoltà di "Discipline della musica e dello spettacolo. Storia e teoria" sempre presso l'università Federico II a Napoli, nutre una forte passione per l'arte in ogni sua forma, soprattutto per il teatro ed il cinema. Infatti, studia per otto anni alla "Palestra dell'attore" del Teatro Diana e successivamente si diletta in varie esperienze teatrali e comparse su alcuni set importanti. Fin da piccola carta e penna sono i suoi strumenti preferiti per potere parlare al mondo ed osservarlo. L'importanza della cultura è da sempre il suo focus principale: sostiene che la cultura sia ciò che ci salva e che soprattutto l'arte ci ricorda che siamo essere umani.

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2 Comments on “Memorie del sottosuolo di Marco Isidori | Recensione”

  1. Grazie Francesca H. La tua recensione mette luce sul problema centrale. Il teatro è duale: attore-pubblico una dualità che è la sua essenza. Come creare la comunicazione artistica del teatro? È la domanda . Ci sto lavorando.. buon lavoro.
    Vanda Monaco. http://www.vandamonaco.com. Non ancora aggiornato.

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  2. Grazie per avermi letta!
    È una domanda comprensibilmente difficile alla quale rispondere, lo capisco. Anche perché, pure l’omologazione è una prassi per la quale verrebbe da chiedersi: e nel futuro? Cosa ci resta del teatro, della nostra identità sociale e culturale?
    Ma allo stesso tempo credo che questo non debba diventare un atteggiamento conservatore che ripudia l’ascolto nei confronti delle generazioni attuali. Anzi, un lavoro teatrale, a mio avviso, dovrebbe innanzitutto incontrare e, poi, al massimo, sfidare.
    Le auguro un buon lavoro anche a lei!!!

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