Opera Viva al Piccolo Bellini

Opera Viva

Dal 18 ottobre al 3 novembre va in scena al Piccolo Bellini Opera Viva, un progetto del Bellini Teatro Factory. Opera Viva di Elvira Buonocore prende vita sul palco grazie al lavoro attoriale e pittorico di quattro interpreti: Alessandra Cocorullo, Carlo Di Maro, Stefania Remino, Gianluca Vesce. Maria Chiara Montella cura la regia, con l’aiuto di Mario Ascione. La produzione è affidata alla Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini.

Viva e morta, l’opera si realizza a metà tra due mondi: la partenza e il ritorno, l’infanzia e l’età adulta, il presente e la reminiscenza

La scena, costituita dal novanta per cento d’acqua, ci suggerisce sin da subito il valore primario e vitale, ma al contempo minimale ed essenziale dell’opera teatrale e metaforica a cui stiamo per assistere. Tre ragazzi, già abbastanza adulti, riproducono – servendosi della memoria che è lo strumento vivificante della messinscena – un momento cruciale per la loro crescita, il punto di non ritorno in cui tutto è iniziato a cambiare. Le sensazioni legate a quel ricordo sono la calura, il senso di asfissia, la tristezza provocata dalla fine dei giochi. Stretti nel retro della macchina del papà, spalla a spalla, due fratelli e una sorella sentono per la prima volta l’odore del pericolo, che di lì in poi rimarrà attaccato alle loro vite come una patina di polvere malinconica. Il padre ha avuto un incidente, le cui dinamiche restano un segreto preservato dal fondale marino. A salvarlo è stata Berenice, la quarta sorella, la più fragile e sensibile, l’unica in grado di assorbire fluidamente tutto e tutti. Il disastro e il conseguente sgomento portano con sé da un lato la fuga e la rimozione immediata, dall’altro il senso di colpa irremovibile e invisibile, come un fantasma persecutore.

Dopo la morte del padre, Alfio, Rosario e Palma si ritrovano presso uno studio notarile per firmare l’atto di compravendita dell’immobile ereditato, situato nel loro luogo natio, sul versante di una costiera imprecisata. La casa a cui si fa riferimento è in fondo un microcosmo di ricordi, il loro inconscio collettivo finora mai sondato. Così, se all’inizio ci si presenta davanti agli occhi una situazione formale, fastidiosamente burocratica, d’improvviso l’apparente verità inizia a fare acqua da tutte le parti. Il notaio offre ai fratelli da bere a iosa, perché si dissetino e comincino a raccontare o per purificarli dal “peccato originale”?

Mentre si discorre a proposito delle proprietà e della loro collocazione, di tutto ciò che è appartenuto ai tre, alla loro educazione e formazione, d’un tratto una nube nera oscura il giorno e l’ordinario si trasforma in un’esperienza emozionale, sensoriale e mnemonica per i protagonisti e per il pubblico stesso. Durante la prima scaricata d’acqua, sotto le gocce di un cielo che già piange disperato, Alfio esordisce con la sua confessione: sogna d’esser liquido, non solido, di non avere consistenza alcuna per poter sentirsi libero. Annuncia alla vita la sua resa incondizionata, avrebbe desiderato scivolare fuori dalla «fessura» di sua madre sotto forma fluida, incontaminato e inafferrabile. Da questo momento in poi, – per istigazione del notaio, pronta ad applicare la legge all’invadenza, e travolti dall’impeto di rigurgitare fuori tutto, – anche Rosario e Palma fanno il loro tuffo nel passato, immaginando ancora di sentire l’eco della voce del padre, che li incitava a gettarsi in mare con audacia e virilità.

Rosario è sicuramente il più coraggioso, il più dotato fisicamente, un donnaiolo, il figlio che sembra dare maggiore soddisfazione. Palma ha le sembianze di una bambina minuta e dolce, ma è invece scaltra e maliziosa. Alfio è un comunista reazionario, pasoliniano fino all’osso, omosessuale e intellettuale militante come il suo uomo-modello, discriminato da compaesani bigotti e retrogradi e, forse, relegato ai margini anche dal padre. Berenice – dalla lunga chioma chiara e lucente – si fa chiamare Nica, perché odia il suo nome, sulla scena non compare mai, ma muove le carte come un “deus ex machina”. Viene presentata dai fratelli come una “spugna emotiva”, empatica a livelli patologici, l’unica predisposta per natura a rischiare la vita per salvare il padre, la sola in grado di assisterlo nella convalescenza, rinunciando alla sua intera esistenza. Altri suoi aspetti – tracciati a completamento di una figura, che appare divina ed eterea nell’immaginazione degli spettatori- sono descritti dalla figlia (nei panni del notaio). L’esperta notarile raffigura Berenice come una dea avvolta da capelli lunghissimi, eternamente giovane e bella, pura e trasparente come “sostanza acquosa”. È forse proprio lei a schizzare fuori dalle bottiglie di vetro, per lavare via le menzogne dai volti degli indagati e permetterci di vedere chiaro?

La vita accade e nessun evento può fermarla, prosegue per il suo corso e ogni tanto straborda fuori dagli argini, ma inevitabilmente ritrova la sua direzione, ora per volontà propria, ora per induzione. Pertanto Rosario che nel corso degli anni è andato e tornato più volte, Palma che ha lasciato il nido per sposarsi, e Alfio, che è sempre stato un viaggiatore alla ricerca di qualcosa (chissà cosa!), a un certo punto sono costretti a fare i conti con sé stessi e con la loro storia.

L’opera morta (Berenice, la malcapitata), per mezzo della figlia travestita da notaio, alla fine trova il modo di vendicarsi sull’opera viva: ai tre ereditieri-viventi è sottratta ogni traccia del proprio trascorso, ogni affetto, ambizione e speranza nutrita.

La realtà e la parola si caratterizzano, ancora e nei secoli a venire, per il loro grande principio di contraddizione. Il mistero viene, infine, svelato: l’opera viva, ovvero la parte immersa dell’imbarcazione, costituisce il punto esatto dove è avvenuta la disgrazia (con la conseguente perdita). Seguendo la stessa logica, Alfio, Palma e Rosario, vivi e vegeti, in tutto capaci di intendere e di volere, scelgono di comune accordo di uccidere con le loro stesse mani il notaio, l’ombra generata da Nica, morta da tempo. Hanno assassinato il senso di colpa e il circolo vizioso che esso comporta? Risposta non può darsi.

Chiuso il sipario, resta una sola certezza: la vita e la morte sono due facce della stessa medaglia, e ogni barca necessita sia dell’una che dell’altra per restare a galla.

A proposito di Chiara Aloia

Chiara Aloia nasce a Formia nel 1999. Laureata in Lettere moderne presso l’Università Federico II di Napoli, è attualmente studentessa di Filologia moderna.

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