«Il teatro dovrebbe essere un luogo in cui non sentirsi sicuri» – Marius Von Mayenburg
Al Piccolo Bellini va in scena Peng, tratto dal testo del drammaturgo tedesco Marius Von Mayenburg e portato a teatro dal regista Giacomo Bisordi, con la traduzione di Clelia Notarbartolo e l’interpretazione di Fausto Cabra, Aldo Ottobrino, Sara Borsarelli, Giuseppe Sartori, Anna C. Colombo, Francesco Giordano insieme alla partecipazione video di Manuela Kustermann. Uno spettacolo dirompente e senza scrupoli, che lascia il suo pubblico totalmente spiazzato riuscendo in un’intensità sorprendente.
Peng, la recensione
Immaginiamo un bambino, Ralph Peng, che viene al mondo dopo avere ucciso colei che avrebbe dovuto essere la sua sorella gemella, dimostrando fin dalla nascita la sua violenza. Immaginiamo quello stesso bambino nascere sotto la dicitura di «mostro» e crescere come tale, coperto dall’ipocrisia dei genitori, dalla loro morbosità aberrante e vacua. E contestualizziamo ciò in una dinamica da reality show, dove le telecamere sono costantemente puntate su Peng ed i suoi genitori e tutto appare finto, artefatto. Peng è tutto questo: è violenza pura, disgustosa e soffocante, cullata da carezze apparenti e creduta contrastata da parole o azioni vuote, messe in gioco solo per mostrarsi con un tornaconto personale.
Allora, Peng è una commedia che si traduce in una metafora politica atroce e di spietata satira contro un sistema fondato sulla falsità, sui principi di esclusione e violenza. Peng è un bambino che si fa portavoce di tutta una generazione che rischia di essere cresciuta senza moralità e senza nessun tipo di riferimento, all’insegna dell’unico apparire attraverso uno schermo su cui tutto sembra essere concesso e che pertanto prosegue allo sbaraglio, sterminando, discriminando e viziandosi di giustificazioni artificiose che, in realtà, non fanno altro che alimentare una certa atrocità. In particolare, è abbastanza ovvio che a questo punto lo spettacolo sposti il baricentro sulla questione del patriarcato, ma lo fa con intelligenza: parla di donne vittime, che per fuggire dalle violenze subite diventano donne tenute nascoste in cantina mentre i loro carnefici sono in libertà; ma parla anche di donne nemiche delle donne, che offrono aiuti ipocriti fingendo di essere femministe e rivelandosi, poi, assuefatte a un sistema subdolamente maschilista; infine, ancora, parla di donne che confondono la causa femminista con l’obiettivo rovesciato di prevaricare sull’uomo, dimenticando che invece dovrebbe essere quello di promuovere l’uguaglianza senza distinzioni di sesso.
Peng è uno spettacolo teatrale che funziona perché parla un linguaggio teatrale schietto e senza troppi convenevoli, d’altronde inserendosi perfettamente nella linea scelta dal Bellini per la sua stagione. Fin dall’inizio, non si crea troppi problemi nell’autodichiararsi sarcastico e irriverente, che trascina il pubblico nel suo mondo aggressivo. In questo modo, come un magnete Peng attira sempre di più a sé lo spettatore fino, poi, a porlo davanti a tali violenze psicologiche o concrete che siano, rendendolo a ben ragione inorridito. Ma non è niente lasciato al caso, perché memore di una certa prassi catartica, dopo avere toccato il fondo, lo spettatore esce dal teatro consapevole.
Fonte immagine: Teatro Bellini