Pierre e Jean di Guy de Maupassant al TRAM | Recensione

Pierre e Jean di Guy de Maupassant al TRAM | Recensione

Pierre e Jean, tratto da un romanzo di Guy de Maupassant, arriva al TRAM il 6 e il 7 gennaio. Il testo viene fuori da un adattamento di Massimiliano Palmese, lo spettacolo è diretto da Rosario Sparno.

Due soli attori in scena (Raffaele Ausiello e Carlo Caracciolo) danno il via a una catastrofe familiare, raccontano il disfacimento, la rottura, la crepa che d’improvviso si apre in una convenzionale famiglia piccolo-borghese.

Pierre e Jean scoprono il vuoto: quello esterno, che fa della società una vetrina fatiscente, quello interno, che si manifesta sotto forma di angoscia.

Pierre e Jean si presentano sul palco indossando i loro stessi panni, ma anche giocando a mascherarsi. La sala è buia, anche la scena, solo una luce al centro del palco illumina i volti dei due protagonisti, che sembrano essere usciti fuori dalla storia, aver preso forma dalla carta, diventati corpo come per un abbaglio. Pierre e Jean Roland sono narratori onniscienti e, al contempo, personaggi. Sono due fratelli, l’uno il contrario dell’altro. Il primo è irrequieto, incostante, istintivo, idealista. Il secondo è più pragmatico, ragionevole, meno sentimentale. Pierre è più grande di Jean di cinque anni. Entrambi hanno terminato da poco gli studi a Parigi, Pierre per diventare medico, Jean si è abilitato, invece, per fare l’avvocato.

I due giovani hanno tutto il futuro davanti a loro, si trovano di fronte a una grande finestra spalancata sul mondo. La vista di uno è, però, serena e mite, per lui si prospetta buon tempo, quella dell’altro è tempestosa e agitata, come il suo animo, lui dovrà sopportare pioggia e vento. Pierre e Jean sono cresciuti insieme, hanno ricevuto la stessa educazione, si odiano e si amano, come tutti i fratelli. L’arrivo di un’improvvisa eredità, però, farà crollare il loro sistema di valori condiviso. Il fratello maggiore, minacciato da una nuvola nera di gelosia, rancore, e profondo dolore, rivendicherà la sua natura, il suo spirito, libero, bramoso, e ancora infinitamente ambizioso.

L’originalità della messinscena è costituita dal duetto, che si traduce ora in forma di duello incalzante, provocatorio, stremante, ora – quando i due attori vestono i panni della madre e della vedova Rose – in formalismi cortesi e complimenti leziosi. Poi, quando i due paiono aver terminato con i loro travestimenti, ecco che sul palcoscenico sbucano due microfoni, e, come se stessimo attraversando insieme a loro le strade di Le Havre, cominciamo a sentire vociferare, un brusio ininterrotto di dicerie e malelingue.

Sono sempre Raffaele Ausiello e Carlo Caracciolo, che cambiano voce, espressione del volto, giocano con toni, pause, e termini dialettali, dimostrando tutto il loro talento attoriale. Senza virtuosismi, senza nessuna scenografia, senza cambi di costume, l’opera riesce a essere coinvolgente e disarmante, a far sorridere e piangere.

Pierre e Jean vestono abiti bianchi, eppure riescono a comunicare tutti i colori, tutte le sfumature: il rosso della passione adultera, peccaminosa della madre, il nero del marcio, che si nasconde dietro i bei sorrisi della gente; il bianco della pura giovinezza, quella di Pierre, che ha ancora il coraggio di sognare. L’eredità divora la vita di Jean, la contamina, ne segna il tragitto definitivo, lo rende completamente assoggettato alla volontà della madre, che lo ama, ma ama anche le apparenze e il denaro. L’eredità fa a pezzi pure l’esistenza di Pierre, che finora scorreva apparentemente tranquilla, tra incontri con amici e corteggiamenti di donne.

Pierre si sveglia un giorno provando un sentimento non decifrabile, senza alcuna origine evidente. Si tratta dell’angoscia: quella voragine senza fondo che si apre nel petto, a tradimento, senza alcun preavviso.

Pierre e Jean è un piccolo dramma, di grande spessore dal punto di vista interpretativo. Lo spettacolo fa riflettere su una realtà che, da quando si è affermata, non ha mai smesso di imporsi, anzi, è diventata sempre più invadente, assumendo dimensioni mostruose, che nella nostra contemporaneità incutono terrore: il denaro si è imposto non solo come dittatore dei rapporti, mediatore tra i legami, fuori e dentro i nuclei familiari, ma ha finito per inghiottire finanche i desideri.

Allora non resta che fuggire a largo, in alto mare, per riscoprire un contatto con il proprio io interiore, e, magari, perché no, trovare anche un po’ di fortuna.

In Pierre e Jean è difficile stabilire chi ha vinto e chi ha perso. Il duello rimane aperto, che si conduca in mare o sulla terraferma, a Le Havre o lontano, dall’altra parte dell’orizzonte, il nemico comune è il denaro, il Padrone invisibile delle nostre vite.

Fonte immagine in evidenza: Ufficio stampa

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Chiara Aloia nasce a Formia nel 1999. Laureata in Lettere moderne presso l’Università Federico II di Napoli, è attualmente studentessa di Filologia moderna.

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