Impossibile di Erri De Luca (Ridotto del Mercadante) | Recensione

Impossibile Erri De Luca

Impossibile di Erri De Luca va in scena al Ridotto del teatro Mercadante dal 18 al 28 aprile. Il romanzo di Erri De Luca si trasforma in una pièce teatrale riuscitissima, trasportandoci nel mondo delle impossibili probabilità della letteratura. Impossibile è un interrogatorio che non si preoccupa di fare spettacolo, ma di creare una dimensione altra, al cui centro ci collocano la città e la montagna, le leggi di natura e quelle dello Stato, la spontanea fratellanza degli uomini e la loro conquistata uguaglianza di fronte alle istituzioni. Lo spettacolo, regia di Italo Spinelli, vede in scena tre soli attori (Elia Schilton, Fausto Cabra, Antonio Turco) che riempiono il palcoscenico con la loro immensa presenza espressiva, oltre che con la consueta recita verbale.

Impossibile è tutto ciò che ancora non c’è e che possiamo solo immaginare: è quel monito alla base del sogno di una rivoluzione di vita politica e individuale. Impossibile è la storia di un interrogatorio, non un duello tra pari, perché prevede la presenza di una figura più forte e di una più debole. Interessante è leggere il volto dai tratti desolati e ruvidi, ma, al contempo, seriosi e combattivi, dell’anziano uomo. Si tratta di un ex membro della lotta armata, associato a un’organizzazione clandestina. Un rivoluzionario convinto, con una fede profonda nella fratellanza tra uomini, più scettico, invece, nei confronti dell’apparente istanza democratica dello Stato, che nasconde, però, una fallace struttura gerarchica fondata più sui privilegi, che sui diritti.

La prima scena di Impossibile si svolge nello studio privato di un giovane magistrato. Il novellino servo dello Stato, tramite di giustizia e fiero funzionario della legge dei Giusti, ha accusato l’anziano attivista di aver compiuto un omicidio. L’ipotesi d’accusa si fonderebbe su delle casualità probabili, impossibili da dimostrare con certezza. Sulla cengia di una montagna, l’ex compagno, ormai maturo, alla ricerca di forme autentiche di isolamento e silenzio, si trova di fronte a una disgrazia: la caduta improvvisa di un altro uomo. Poiché le leggi della montagna stabiliscono che è assolutamente indispensabile soccorrere chiunque si trovi in uno stato di pericolo, il nostro accusato non esita a chiamare subito assistenza. Ecco, però, che premura e umanità gli si ritorcono contro, come per legge del contrappasso regolata dallo Stato, che non si dimentica di esercitare un controllo sull’individuo, neanche dopo che quest’ultimo ha scontato la sua pena. La montagna diventa, così, luogo privilegiato del racconto e della vitacome il palcoscenico di un teatro – dove può avere ampio respiro una variazione diversa dei fatti, che nella comunità civile assumono contorni diversi, più sbiaditi e confusi, eppure così netti e immobili.

Il magistrato di Impossibile – insolitamente giovane per l’altezza della posizione professionale che occupa – si comporta nei confronti dell’uomo più saggio, mite e severo esploratore delle alte vette e delle più recondite condizioni umane, in maniera ambivalente. Se da un lato la sua accusa risulta infondata e frettolosa, le sue osservazioni paiono acute e attente, sintomatiche di una gioventù curiosa, non all’altezza delle grandi lotte portate avanti in quel clima di antico fermento di quegli anni illuminati e sanguinosi, ma comunque desiderosa di apprendere e indagarne a fondo le ragioni e i sentimenti.

La scenografia scarna, ma incredibilmente realistica, ci catapulta letteralmente nella storia, l’impressione è quella di sedere accanto o appena dietro l’accusato – proprio come il suo muto avvocato –, e scrutarne le movenze, gli sguardi arcigni e le smorfie di dissenso. Una grande scrivania in legno, una bandiera enorme tricolore e il gioco è fatto. Lo studio è un luogo austero, dove bisogna seguire severe disposizioni, e le formalità sono inevitabili. Il vecchio signore, abituato a passeggiare libero tra i sentieri o, al massimo, a vivere in comunità con gli altri compagni, percepisce quello spazio come una minaccia, una cella più angusta di quella della stessa prigione.

L’uomo, che sotto ai suoi occhi avrebbe visto precipitare e morire, è un suo ex compagno, un vero fratello per lui, ma anche un traditore, che, giovando della legge dei collaboratori di giustizia, ha ottenuto, parlando, dei benefici totali da parte dello Stato. Insomma, quest’uomo, anni fa, avrebbe confessato contro di lui, si tratterebbe di una spia. Questo è il pretesto al quale il magistrato si appiglia: è un caso che due ex compagni, appartenenti alla stessa organizzazione clandestina, si siano trovati alla stessa ora, sulla stessa cengia della montagna, e che il pentito sia accidentalmente caduto di sotto?

Impossibile stabilire quale sia la verità assoluta. L’istituzione parla per bocca del magistrato e sostiene che qualsiasi accusa, che abbia anche solo una prova a suo favore, è sufficiente per aprire un processo. L’uomo non più libero, condannato a un interrogatorio estenuante e interminabile, ci invita a fare dei ragionamenti che vadano al di là della superficie e dell’apparenza, oltre le risposte semplici e immediate, facilmente dimostrabili, altamente probabili, ma che non prendono in considerazione il potere dell’impossibile. Attraverso l’espressione tenera e accondiscendente che il magistrato infine assume, al di fuori dell’ambiente istituzionalizzato, e di quella del vecchio signore con il temperamento e la forza di un giovane, si palesa l’impossibile.

Impossibile è anche lo spazio infinito che le parole d’amore riescono a creare nel chiuso infimo delle quattro mura della cella. Impossibile che possa esistere un amore così impreciso, imperfetto, infantile e docile, astratto e concreto, come quello che l’imputato prova. Impossibile che lui riesca a trovare un modo di stare insieme a lei, senza averla accanto, di condividere con la donna amata i propri oscuri pensieri, torbidi e stanchi, che senta il calore del suo corpo, pur trattandosi di un’assenza.

Tutto questo è impossibile, eppure accade, al punto che, vedendo rannicchiato l’anziano uomo sul suo lettino sgarrupato, lo spettatore può immaginare dietro di sé una donna, che con le braccia avvolge la sua sagoma stanca e smagrita, e la luce del teatro diventa uno spiraglio di sole che illumina, come un occhio di bue, la cella, filtrandola con il suo giallo accecante. Impossibile che la lotta all’ultimo sangue tra camosci, a cui si assiste in alta montagna, possa somigliare vagamente all’atto di fare l’amore, eppure nei romanzi può accadere che le due cose si confondano. Sulla vetta e sulla scena di un palcoscenico anche l’impossibile diventa tangibile, e il teatro è un luogo sacro, proprio come la natura, dove il resto del mondo, sebbene per un tempo circoscritto, rimane fuori.

fonte foto: ufficio stampa

A proposito di Chiara Aloia

Chiara Aloia nasce a Formia nel 1999. Laureata in Lettere moderne presso l’Università Federico II di Napoli, è attualmente studentessa di Filologia moderna.

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