In una data unica, domenica 17 novembre, è andato in scena al Teatro Bolivar di Napoli (direzione artistica Nu’ tracks), lo spettacolo-reading Tra sacro e profano, di e con Vinicio Marchioni, organizzato e prodotto da Anton Art House.
La domenica pomeriggio è un tempo strano, sospeso, con un occhio rivolto al weekend appena passato e l’altro alla nuova settimana e agli impegni che questa porta, puntuale. La domenica pomeriggio è un tempo strano, sospeso, il cui luogo ideale è forse il teatro, quel posto in cui ti capita di essere a Napoli e, come per magìa, di ritrovarti all’improvviso tra i vicoli e i secoli di Roma, tra sacro e profano, guidato da un singolare cicerone, lui, Vinicio Marchioni.
Se è vero che per fare un viaggio, basta la fantasia, a Marchioni bastano un leggìo, delle pagine scritte e un occhio di bue a illuminarlo. È proprio quello che è successo domenica pomeriggio, in un tempo strano, sospeso, tra le sedute rosse del Teatro Bolivar.
Un viaggio nel tempo, nello spazio, nelle parole. Parole scelte, lette, recitate e cantate con grande maestrìa dall’attore romano, che della sua città, amata e odiata, ricostruisce la bellezza e il fascino, senza però tacerne le contraddizioni, senza temere di prendere posizione, cosa che ogni artista dovrebbe sempre fare.
E me ne andavo da quella Roma addormentata
Da quella Roma puttanona, borghese, fascistoide
Quella Roma del, “Volemose bene e annamo avanti”
Quella Roma delle pizzerie, delle latterie
Dei “Sali e Tabacchi”, degli “Erbaggi e Frutta”
Quella Roma dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini
Dei maritozzi con la panna, senza panna, delle mosciarelle
E così, affidandosi alle parole di poeti, cantanti, attori, anche non romani, trascina dal riso al pianto, dal tragico al comico muovendosi, come un abile giocoliere, tra situazioni e registri linguistici completamente diversi, tra sacro e profano, appunto. Da Trilussa a Giuseppe Giuoachino Belli, da Remo Remotti a Ennio Flaiano, in un ventaglio infinito di temi, anche scomodi, perché, come lui stesso ha detto in un’intervista: “Come si può, raccontando Roma, non parlare del Vaticano? Come si può non parlare del potere? “
E, ancora, tra ironia e amarezza, ci racconta della bellezza, quella ricercata a tutti i costi (in tutti i sensi), dell’amore, della morte. Emoziona, si emoziona, diverte e si diverte, a suon di versi e battute, creando una forte sinergia con il pubblico, che proprio non smetterebbe di ascoltarlo. Un reading senza scena e musiche, a ricordare la bellezza, ma soprattutto la potenza della parola che unisce, separa, ma soprattutto, quella parola che costringe al tempo dell’ascolto, al tempo della riflessione, cosa ormai sempre più rara.
[…] La Maschera arispose: “E tu che piagni,
che ce guadagni? Gnente, ce guadagni.
Ché la gente dirà: Povero diavolo,
te compatisco… me dispiace assai…
Ma in fonno, credi, nun je ‘mporta un cavolo.
Fa’ invece come me, ch’ho sempre riso
e, si te pija la malinconia,
coprite er viso co la faccia mia,
così la gente nun se scoccerà…
Da allora in poi, nasconno li dolori
de dietro a un’alegria de cartapista
e passo per un celebre egoista,
che se ne frega de l’umanità.
Fonte immagine in evidenza: Teatro Bolivar