Tre studi per una crocifissione, di Manfredini | Recensione

Tre studi per una crocifissione, di Manfredini | Recensione

La stagione 2024/2025 della Galleria Toledo di Napoli, diretto da Laura Angiulli, continua con lo spettacolo Tre studi per una crocifissione, di Danio Manfredini, dall’11 al 13 aprile.

Tre studi per una crocifissione: dalla pittura alla scena

Tre studi per una crocifissione – ideato, prodotto, diretto e interpretato da Danio Manfredini insieme all’assistenza alla regia di Luisella del Mar e Vincenzo Del Prete – si sviluppa in tre quadri indagando in ognuno di questi tre tipi di condizioni esistenziali umanamente tragiche. Nel primo, un paziente di una comunità psichiatrica dialoga con i suoi fantasmi evocando ricordi e suggestioni al limite tra il reale e un’immaginazione problematica; nel secondo, ispirato liberamente a Un anno con tredici lune di Fassbinder, un orfano accetta l’amore di un uomo iniziando un tormentato percorso di transizione di genere; nel terzo, l’ultimo ispirato a La notte poco prima della foresta di Koltès, uno straniero in terra europea sente lo sradicamento dalla sua terra natìa in un paesaggio metropolitano inevitabilmente diverso.

Il riferimento di Tre studi per una crocifissione, di Danio Manfredini, rimanda al dipinto Tre studi per figure ai piedi di una crocifissione di Francis Bacon. Quest’ultimo è proprio un trittico in cui il pittore dipinge tre individui dilaniati dal dolore, tre figure rese così sofferenti da risultare ambigue, paradossali, indefinite ma allo stesso tempo comunicative del loro rispettivo strazio. La struttura dello spettacolo si basa su questa tripartizione artistica e il contenuto ne evoca le potenziali suggestioni: l’attore dà corpo e voce a quelle tre figure, creando una dimensione alternativa a quella “fissa” del dipinto in cui quei tre volti possono spiegarsi, hanno modo di dare una forma tangibile e concreta a ciò che le brucia in un’intimità profonda e oscura.

Sguardi contemporanei e tre integrazioni problematiche nel tessuto sociale

I Tre studi per una crocifissione affrontati da Dario Manfredini evocano tre sguardi su una contemporaneità problematica. I tre soggetti interpretati vivono tre integrazioni nel tessuto sociale sofferenti, di una difficoltà intimamente inquieta in cui risultano imprigionati senza una via di fuga. Allora, l’unico modo che queste tre figure hanno per sopravvivere a quelle avversità intrinseche al tessuto sociale che le circonda, diventa rigurgitare le voragini in cui sono sprofondati. Un uomo le cui pareti mentali sono fatte di amnesie, di compagnie fantasticate, forse ricordi, forse mai accaduti realmente, che lo tengono per mano in una solitudine sconfinata; un orfano che si aggrappa alla parola amore per fuoriuscire da , finendo poi per perdere i propri stessi contorni; infine, uno straniero senza più la sua casa, che danza per le strade di un paese non suo, spiegando un’inspiegabile ricerca di libertà dolorosa ma viva.

I tre casi di Tre studi per una crocifissione, dunque, piantano le radici in una società che contemporaneamente li ospita e rigetta nell’abisso. La crocifissione diventa simbolo di una sorta di predestinazione che pare determinarli, ampliando il senso di una corrispettiva resilienza. Diventano in un certo senso martiri di vortici che li risucchiano in baratri bui. Vi è una potenza evocativa scaturita da un altrettanto forte bisogno di comunicazione, che parte da quelle coscienze solo apparentemente spezzate e fuoriesce in un’integrità sorprendentemente salda e spietata nella sua narrazione. Abitano i contesti in cui sono costretti, non li vivono, non più almeno, perché non ci riescono pur dimostrando una volontà dirompente. Allora, anche quelle tre figure sono ambigue, deformi, con contorni che le delimitano ma in contenuti ampi, complessi, indefiniti.

Ricerche di identità e crocifissioni di storie marginali

Con una scenografia essenziale, ridotta all’osso, Tre studi per una crocifissione punta al bersaglio delle emozioni. Si pone come obiettivo fare immedesimare gli spettatori in quelle trame profonde, viscerali. Ciascun quadro è un’occasione di introspezione e riflessione, in cui i tre rispettivi protagonisti performano un interno isolamento rispetto al “fuori” e allo stesso modo viaggiano in una costante ricerca di un posto altrove, oltre, di un’identità che li esprima e li risolva. E benché siano tentativi per forza falliti, la loro straordinaria potenza risiede proprio in questi mille universi che li affliggono, la loro risoluzione sta in quel tendersi fino a spezzarsi. Non si parla di speranza, c’è un senso disperato di una quasi impossibilità che riguarda quest’ultima, al contrario sono tre momenti di umanità, nuda, spogliata dai pudori, cruda nell’esporsi.

I Tre studi per una crocifissione sono storie che abitano ai margini, in un perenne equilibrio tra il cadere e il fare il passo giusto per un certo istinto di sopravvivenza. In quelle storie così private si insinua un’esistenza umana complessa, che non può essere contenuta, anzi, che va vissuta da più punti di vista. La regia e la scrittura di Manfredini creano momenti di empatia, di una catartica immedesimazione da cui scaturisce un confronto sentito, pure al netto di un’interpretazione contenuta. Diventa un trittico di fragilità, un posto e un tempo in cui fare emergere una vulnerabilità anche scomoda nell’assenza di risoluzione. Un lavoro, insomma, che agisce accompagnato dalla potenza del logos, che non ha bisogno di vestirsi di visioni altre.

Fonte immagine di copertina: Ufficio Stampa

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson nasce il 26 Marzo 1998 a Napoli. Nel 2017 consegue il diploma di maturità presso il liceo classico statale Adolfo Pansini (NA) e nel 2021 si laurea alla facoltà di Lettere Moderne presso la Federico II (NA). Specializzanda alla facoltà di "Discipline della musica e dello spettacolo. Storia e teoria" sempre presso l'università Federico II a Napoli, nutre una forte passione per l'arte in ogni sua forma, soprattutto per il teatro ed il cinema. Infatti, studia per otto anni alla "Palestra dell'attore" del Teatro Diana e successivamente si diletta in varie esperienze teatrali e comparse su alcuni set importanti. Fin da piccola carta e penna sono i suoi strumenti preferiti per potere parlare al mondo ed osservarlo. L'importanza della cultura è da sempre il suo focus principale: sostiene che la cultura sia ciò che ci salva e che soprattutto l'arte ci ricorda che siamo essere umani.

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