Dumbo ri-vola sul grande schermo: al cinema dal 28 marzo il live action diretto da Tim Burton.
Sono passati quasi ottant’anni da quando Dumbo, l’elefantino volante, debuttava nei cinema. Era il 1941, e, a causa delle ingenti perdite di Fantasia, Walt Disney optò per un film semplice e a basso costo per realizzare il suo quarto Classico. Partendo da un soggetto già esistente (Dumbo era protagonista di un libro per bambini), nacque così il film: un lungometraggio dalla durata di “soli” sessanta minuti, ma perfetto nella sua poetica lineare.
Sulla scia di riportare i suoi classici al cinema in versione live-action, la Disney ha chiamato il genio visionario Tim Burton (recentemente premiato ai David di Donatello 2019) per far volare ancora una volta il piccolo elefante; stavolta in CGI, ma dagli stessi occhioni blu che riescono a esprimere tutte le sue emozioni. Nonostante le divergenze creative del passato (Burton lasciò la Disney quando era un animatore), il regista torna a lavorare con la major realizzando un film che, sebbene non sia un capolavoro, porta con sé aspetti positivi.
Solo il pittore dei freaks, colui che è stato in grado di dare voce e dignità agli outsider (con Edward mani di forbice, primo fra tutti) poteva avvicinarsi a Dumbo, una delle figure più strazianti della cinematografia, simbolo di inadeguatezza ed emarginazione.
È sempre difficile confrontarsi con i classici, e, come già era successo per Alice in Wonderland, Burton rivisita il materiale originale. Qui la scelta è quella di dare maggiore spazio agli uomini e lasciare gli animali a un ruolo quasi secondario. Eliminata ogni forma di antropomorfismo, Dumbo e le altre creature del circo non parlano, comunicano con gli occhi e con i loro versi.
Dumbo versione live-action: la trama
1919. Holt Farrier (Colin Farrell), dopo aver perso un braccio ed essere rimasto vedovo, torna dalla guerra e riabbraccia i figli Milly (Nico Parker) e Joe (Finley Hobbins). La loro casa è il Circo Medici, diretto dall’inarrestabile Max Medici (Danny DeVito) che spera di risollevare le sorti della sua attività grazie a un cucciolo di elefante la cui nascita è imminente, ma il piccolo messo al mondo da mamma Jumbo ha orecchie enormi ed è considerato un mostro. Mentre gli altri lo prendono in giro, Milly e Joe consolano l’elefantino, distrutto dalla separazione dalla mamma. Per caso, grazie a una semplice piuma, scopriranno che Dumbo può volare. Il successo del magico elefantino cambia le sorti dell’intera famiglia del Circo Medici, che si trasferisce a “Dreamland”: incredibile parco giochi del villain Mr. Vandevere (Micheal Keaton). Ma basterà l’aiuto dei piccoli Farrier e dell’acrobata Colette Marchant (Eva Green) per riunire Dumbo e la sua mamma?
Dumbo, analogie e differenze con il Classico animato
Il Dumbo di Tim Burton, come accennato poco sopra, si prende le sue libertà creative rispetto al classico degli anni ’40. Meno malinconico e più lungo (il film originale durava circa un’ora, quindi nuovi inserti sono stati inevitabili), le avventure dell’elefantino volante puntano sempre e comunque al tema del diverso (tanto caro a Burton) e della famiglia aggiungendo però un senso ecologista di contrarietà all’utilizzo di animali nei circhi. La pellicola è quindi inquadrabile quasi come un remake del classico d’animazione, diviso in due parti ben distinte. Una prima più intima, ambientata in una dimensione familiare come il Circo Medici, dove tutti si conoscono e si aiutano fra loro, salvo qualche fisiologica mela marcia. Una seconda più fredda e votata all’avventura, nel mondo affascinante ma ambiguo di “Dreamland”, un enorme parco divertimenti che offre qualsiasi genere di attrazione ai propri ospiti, ma senza un briciolo d’anima – sottile critica alla Hollywood più commerciale?
Nonostante tutto sono molti i tributi inseriti dal regista al film del 1941, sicuramente per far divertire anche il pubblico più grande. Dal treno Casimiro, il cui design dark è forse l’unico aspetto prettamente burtoniano dell’intero film, al merchandising con l’aspetto del vecchio Dumbo. Senza dimenticare due sequenze cult (la canzone Bimbo mio, cantata da Elisa, e La parata degli Elefanti Rosa), riviste in chiave fiabesca e moderna, e soprattutto meno traumatica.
Nel cartoon del 1941, Dumbo impara a volare a pochi minuti dalla fine grazie ai corvi (che nel live-action non ci sono, perché additati come portatori di un messaggio pseudo-razzista) e quando riesce a farlo durante lo spettacolo è una sequenza liberatoria di grande purezza. Quello stesso senso di meraviglia è presente anche nei voli del film, però non ne sono il culmine emozionale. Dumbo capisce quasi subito quello di cui è capace. Nel primo film Disney, breve ed essenziale, si svolge una vera e propria formazione dell’elefantino dalle orecchie giganti, il quale, deriso e umiliato da tutti, saprà trovare nella sua deformità la sua più autentica forza. Dumbo è un brutto anatroccolo che, grazie all’amicizia di un compassionevole topolino, imparerà a credere in se stesso e nelle sue possibilità, in barba ai pregiudizi e ai luoghi comuni. La principale differenza, quindi, tra il film d’animazione e il live action di Tim Burton è il punto di vista, la focalizzazione esterna: noi non prendiamo parte alle vicende di Dumbo e del suo amico topolino, ma, da umani, empatizziamo con Holt e i suoi figli, la cui storia gira intorno a quella del piccolo pachiderma.
Il cast: ottima Eva Green, troppo caricaturale Michael Keaton
Il cast di attori, quasi tutti veterani del cinema di Burton, è adatto a dare vita all’atmosfera magica e allo stesso tempo paurosa del circo.
C’è Eva Green, che, finalmente libera dall’immaginario del cinema gotico, si trasforma per l’occasione in una dea luminosa e affascinante, tutta piume (è in lei che si trova la citazione dei corvi assenti?) e acrobazie; c’è Danny DeVito, perfetto nei panni del direttore del circo in cui irrompe Dumbo; e poi ci sono Colin Farrell e Michael Keaton, che rimangono purtroppo intrappolati in due ruoli con molti cliché: quello del padre vedovo che tenta di riallacciare un rapporto con i figli di ritorno dalla guerra (Farrell); e quello del cinico impresario di una imperiale Mecca del divertimento che si appropria con l’inganno dell’elefantino volante (Keaton). Bravissima anche la piccola Nico Parker che interpreta la giovane Milly.
Dumbo, un tipico personaggio “da Tim Burton”
I personaggi di Tim Burton sono creature bizzarre, straordinarie ma imbrigliate in un pregiudizio: allontanate, sfruttate, derise. Per queste ragioni Dumbo è stato un soggetto pieno di potenzialità per Burton. Nonostante la sceneggiatura si dimostri adeguata ad un pubblico infantile e un po’ superficiale, e nonostante il mix di personaggi non troppo riusciti e nemmeno troppo necessari, il sottotesto è coerente con la filosofia del regista: il cucciolo di elefante, che da reietto diventerà molto in fretta oggetto di esaltazione mediatica, opportunistica e strumentalizzata, si rivelerà un nuovo Edward Mani di Forbici il quale, poco incline a bearsi di questa euforia di massa, si scoprirà incapace di vivere tra gli uomini.
Il risultato qual è? Il Dumbo di Tim Burton è un film che cambia a seconda della prospettiva da cui lo si guarda. Se dall’alto di legittime aspettative (e allora nasce il pensiero: “poteva fare di più” un regista immaginifico come Tim Burton) o dal “basso” di uno sguardo a misura di bambino (e in tal caso la storia ha tanto da dire).
Tutto sommato, quando fa alzare in volo il suo elefantino bullizzato e sfruttato, Burton regala a tutti la speranza che si possa andare oltre le apparenze. Ed è impossibile non farsi sfuggire (di nuovo) una lacrimuccia (nella migliore delle ipotesi) quando separano Dumbo dalla madre. Non ci riuscirete. E se ci riuscite probabilmente avete qualcosa che non va.
Nunzia Serino