Quello dei baby influencer è un fenomeno che da qualche anno è approdato anche in Italia. Si tratta di bambini molto famosi sui social che diventano dei punti di riferimento per chi li segue. Vantano spesso milioni di follower e le loro attività principali sulle piattaforme social è sponsorizzare prodotti tra un video e l’altro.
Chiunque posti contenuti su una pagina social aperta, si aspetta un ritorno. Superato il buon vecchio pretesto del “io posto solo per me stesso”, una giusta dose di onestà intellettuale porta ad ammettere che, ogni qualvolta un soggetto pubblica online qualsiasi cosa di sé, lo fa con un certo grado di aspettativa, seppur minima.
Il meccanismo dei like, che rinforza i circuiti cerebrali del piacere, è il vero motore del successo delle piattaforme social. A tutti, insomma, fa piacere ricevere dei feedback da chi guarda o legge.
I bambini, invece, sono immuni da questo, poiché i loro circuiti cerebrali non hanno ancora assaporato il meccanismo della ricompensa che può essere alimentato e rinforzato dal vortice social. O forse no.
Chi sono e cosa fanno i baby influencer
Per molte piattaforme social, al di sotto dei 13 anni, per legge, non è consentito avere un account. Anzi, non sarebbe consentito, perché di fatto accade. Sono i baby influencer, bambini e ragazzini che sui social vantano un numero altissimo di follower e diventano modelli di vita, arrivando anche a guadagnare cifre da capogiro.
I baby influencer parlano ai follower attraverso le loro pagine social, raccontando la propria quotidianità con video, stories e post, in cui sono spesso inclusi prodotti commerciali. Gran parte dell’attività delle piccole star del web, infatti, è costituita da sponsorizzazioni. Ricevono dalle aziende dei prodotti e li mostrano ai propri follower al fine di aumentarne le vendite. Non si tratta di veri e propri “regali”, ma di accordi commerciali in piena regola. A seconda dell’età dei baby influencer, i prodotti in questione riguardano per la maggior parte delle volte oggettistica in campo fashion o prodotti per bambini e ragazzi.
Ma i baby influencer non sono da soli: esistono intere famiglie di influencer, composte da mamma, papà e piccole star. Il fenomeno dello sharenting, infatti, che consiste nel condividere senza sosta contenuti riguardanti i propri figli da parte dei genitori, spesso trasforma l’intera famiglia in un nucleo influencer.
Bambini online: tra marketing e storytelling
Nonostante le critiche e le continue richieste di regolamentazione da chi non vede di buon occhio dei bambini che già in tenera età contano in termini di follower, il fenomeno dei baby influencer sta vivendo un periodo florido. È impressionante notare come, i piccoli protagonisti delle piattaforme social ne abbiano preso il pieno possesso: non sono più solo i genitori ad amministrarne le pagine, ma sono loro stessi ad apprendere molto velocemente come funziona il meccanismo social di like, commenti e sponsorizzazioni. Imparano molto presto, infatti, ad imbastire il proprio storytelling e a dialogare coi propri coetanei che, vista la giovane età, sono anche facilmente plasmabili, quindi influenzabili dai prodotti proposti di volta in volta tramite post, stories e video.
Perché hanno così successo?
Il grande successo dei baby influencer è spiegato dal fatto di avere un accesso preferenziale a due vie al cuore – e al portafoglio – dei propri follower: da un lato i coetanei, che ovviamente preferiscono una comunicazione alla pari e dall’altro i genitori di altri bambini, che si lasciano ispirare dalle piccole star in merito agli acquisti da effettuare per i propri figli.
Non di minore importanza è la leva sul bisogno delle persone di osservare la vita altrui e crearsi le proprie leggende personali: i social e i personaggi che li popolano si prestano molto bene a soddisfare queste necessità. L’effetto telenovelas sui social è ancora più forte rispetto a quello della TV, in quanto è possibile assistere dal vivo alla vita altrui e prenderne parte attraverso le interazioni tramite la piattaforma.
Baby influencer: quali rischi?
Il fenomeno dei baby influencer non è nuovo, è già finito sotto i riflettori un gran numero di volte e, periodicamente, torna alla ribalta. L’elemento che più di tutti preoccupa la maggior parte delle persone, nonché chi si occupa a livello legale e psicologico di tutela dei minori, è il fatto che la prolungata esposizione a device e ambienti digitali, che propongono modelli comportamentali e relazionali profondamente diversi da quelli che un bambino vive nel suo quotidiano, potrebbe generare confusione nell’approccio nei confronti di se stessi e degli altri.
I social media, attraverso i meccanismi di ricompensa, possono creare delle vere e proprie dipendenze. Attraverso le piattaforme social si vive l’illusione di socialità: ci si connette con gli altri ma si vive solo una piccola parte della complessità dell’interazione umana, solo una parte per cui non si fa, in realtà, alcuno sforzo. Non si attivano realmente quei meccanismi relazionali del quotidiano, in cui si ottengono e si perdono elementi a seconda di come la relazione viene impostata e portata avanti. Cercare unicamente elementi che confermano le proprie aspettative, stimola la produzione di quelle sostanze cerebrali responsabili del piacere, che alimentano i circuiti della dipendenza.
Non è raro poi che il minore, nelle comuni interazioni coi propri coetanei, esibisca una percezione di sé e dell’altro sfalsata e, nell’attribuzione del valore personale, ragioni in termini di “follower”, like ed engagement. Lo spettatore, dal canto suo, non è un soggetto passivo: colmando il suo bisogno di seguire i propri idoli, alimenta il fenomeno, incoraggiando la percezione che già si sta facendo strada nella mente delle piccole star, secondo cui il valore si misura di base al numero di follower.
Sfruttamento e lavoro minorile
Nel 2020 la Francia ha chiarito a livello legislativo la posizione dei baby influencer, attuando delle misure che possano contrastare l’abuso di attività lavorative che contemplino minori di 16 anni. Tra queste misure è compresa tutta una serie di autorizzazioni da parte delle autorità e il versamento dei contributi presso la cassa di appartenenza da parte dei genitori, in modo da vietare l’uso del denaro per scopi personali.
Anche in Italia, fatta eccezione per il lavoro nel campo dello spettacolo, una persona non può lavorare fino ai 16 anni di età. Vi è una regolamentazione corposa e complessa anche in merito all’uso dell’immagine e della voce dei minori, che deve rispettare determinati standard di tutela e sicurezza. Secondo i principi della Carta di Treviso, ad esempio, l’uso dell’immagine o di qualunque elemento riconducibile ad un minore, deve essere previsto sempre e solo nel pieno interesse del soggetto. Ma è ancora assente una regolamentazione dedicata ai baby influencer: senza indicazioni ad hoc, però, tutto è interpretabile e arginabile.
Fonte immagine: Pexels.com