Giovanni Truppi al Bolivar: Il mondo è come te lo metti in testa

Giovanni Truppi

Giovanni Truppi al Bolivar per celebrare dieci anni de Il mondo è come te lo metti in testa

Il 16 dicembre alle ore 21.00 sul palco del Teatro Bolivar si è esibito Giovanni Truppi con Marco Buccelli, produttore e compagno di esperienze musicali e di vita. Il cantautore napoletano torna a casa, per un concerto intimo e ironico, contorsionistico e statico, velocissimo e lentissimo.

Apre il concerto di Giovanni Truppi al Bolivar Francesco Lettieri, che, con le sue dita leggere, sfiora il pianoforte e le corde di tutti i cuori aperti in sala. Predispone all’ascolto, e crea un’atmosfera di sogno. Non si poteva chiedere un’apertura migliore.

Poco dopo, Giovanni Truppi ci trasporta nel mondo che è chiuso nella sua testa, ma che esplode al di fuori, per riempirsi, e arricchirsi del piacere dell’incontro, con Marco Buccelli, amico fraterno, spaziale e terreno, e con il suo pubblico, sognatore e partecipatore attivo della magia folle di due lucidi pazzoidi.

Giovanni Truppi al Bolivar canta di sabato sera – non di domenica, perché La domenica la gente litiga – e la sua voce ci abbraccia strettissimamente, fino a farci Scomparire

Giovanni Truppi rompe subito il ghiaccio, e sconfigge l’ansia da prestazione, dando il via al concerto con La lotta contro la paura. Così si unisce fisicamente alla sua chitarra elettrica, che indosserà per tutta la prima parte dell’esibizione, come una seconda pelle.

Ci troviamo di fronte a due uomini coraggiosi: Giovanni Truppi e Marco Buccelli fondono le loro sonorità, muovono gli arti, creando un intreccio di musicalità diverse e soggettive, eppure simili, intente a creare un’unica voce universale.

Marco Buccelli dà l’attacco: «One, two, three!», e Giovanni Truppi al Bolivar si scatena. Ecco che insieme inventano un mondo, alternativo al nostro, che trae sì ispirazione dalla realtà, ma pure la supera, colorandola di immaginazioni, visioni, e nuove geografie scomposte.

La parola che viene in mente è: disordine. Si coglie ovviamente il duro lavoro, meticoloso e, forse, ossessivo, di ricerca dei suoni, che accompagnano vocalità ben precise e studiate, ma l’innesto, che ne viene fuori, è puro Caos.

Il mondo è come se lo sono messi in testa i due musicisti, e comunicare quel complesso lavorìo interno all’esterno, è il miracoloso dono che ci fanno.

Giovanni Truppi al Bolivar è sé stesso, e Nessuno. Proponendo un concerto ironico, bizzarro, indecifrabile e coinvolgente, gioioso e malinconico, si palesa in tutta la sua autenticità, senza filtri, con indosso la solita canottiera rossa.

Al solito, non vuole rappresentare Nessuno, se non Giovanni. Non pretende di insegnarci «nessuna verità», non c’è alcun tentativo di ambire alla perfezione da parte del cantautore. Durante la performance, si coglie follia ed eccitazione, ma anche profonda sensibilità, e un bagliore d’anima, la sua.

Ti voglio bene Sabino viene cantata con tutta l’allegria di un Giovinastro, che non è mai cresciuto, che nasconde (neanche troppo bene) in sé il bambino, l’unico essere vivente ancora in grado di stupirsi, pure nell’era del Consumismo sfrenato, e nell’età della Tecnica, che ha finito per rimpiazzare l’uomo.

Giovanni Truppi e Marco Buccelli hanno, però, scelto di suonare e di cantare, anche in un mondo dominato dall’orrore della guerra, assoggettato al Dio Denaro. Loro possono «mettere tutti in imbarazzo», solo con la musica e le parole, possono far emozionare, e provocare una reazione. Sembrano cose banali, – e Giovanni Truppi gioca spesso, sul palco, con l’apparente banalità delle proprie affermazioni – ma oggi tutto questo diventa, invece, necessario.

Bisogna darsi Infinite possibilità, nonostante le numerose sconfitte subite. Giovanni Truppi al Bolivar canta a gran voce, e sebbene si presenti magro, in un corpo gracile, all’apparenza fragile, ha, invece, braccia muscolose e resistenti.

Allora, il suo «essere finito» si apre alla trascendenza di un desiderio condiviso: poter ancora cambiarlo, questo mondo.

Come animali, seduti come cani, sulle poltrone di uno storico teatro, piagnucoliamo, quando Giovanni Truppi canta Conoscersi in una situazione di difficoltà, perché è proprio vero che «siamo tutti richieste d’aiuto».

Poi, il minuto dopo, ululiamo, per farci sentire dagli artisti sul palcoscenico, per comunicargli la nostra vicinanza e il nostro affetto, ma anche per farci scoprire da altre solitudini, per intercettarle, a nostra volta, nella sala.

Giovanni Truppi al Bolivar ci ricorda che siamo ancora in grado di Amarci come i cani, di fiutarci tra la gente, e riconoscerci, «annusarci i culi».

Così, la signora che ci siede accanto, per un puro caso, potrebbe essere la madre di Marco Buccelli, che sta suonando sul palco. E ci viene da sorridere a sentirla commentare: «è vero, però, che la domenica la gente litiga!», oppure ancora, «questa è Amici nello spazio!», e la canta, perché la conosce a memoria, perché quell’amicizia l’ha vista sbocciare, sotto i suoi occhi, in prima persona.

Il teatro trema, e la domenica seguente, come per un incantesimo, nessuno litiga più. La musica ha fatto il suo lavoro, il mondo nella testa si è rotto le palle di stare in gabbia, ed è esploso, e ne è venuta fuori meraviglia.

Fonte foto: Ufficio stampa

A proposito di Chiara Aloia

Chiara Aloia nasce a Formia nel 1999. Laureata in Lettere moderne presso l’Università Federico II di Napoli, è attualmente studentessa di Filologia moderna.

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