Andrea Mantegna: Un pittore che “scolpiva” dipingendo
Andrea Mantegna, cittadino veneziano, nato nel 1431, è con giusto merito annoverato tra i pittori italiani più grandi del Rinascimento. La sua formazione artistica avvenne a Padova, dove fu incredibilmente influenzato da grandi artisti come Masaccio e Donatello, proprio da quest’ultimo ereditò il gusto per le figure monumentali, quasi statuarie, un tratto che fu prominente nella sua pittura e che contribuì a renderla tanto iconica. La rielaborazione originale delle ispirazioni passate e correnti e l’uso preciso, quasi illusionistico, della prospettiva contribuirono a rendere la pittura di Mantegna unica.
Un’opera celeberrima, che mostra tutto il talento di Mantegna nel ritrarre scene religione e mitologiche con assoluta originalità è la Pala di San Zeno, (basilica di San Zeno, Verona, 1456-59). Uno degli aspetti più interessanti è sicuramente la minuzia tecnica con la quale il dipinto è stato concepito. Oltre modo realistico, curato in ogni minimo dettaglio, sai dal punto di vista della composizione artistica dei tratti dei personaggi, che dal punto di vista dell’organizzazione spaziale. Basti pensare che le direttrici prospettiche del quadro furono tracciate basandosi su quelle reali del coro della chiesa, e che sulla destra della pala fu aperta una finestra, su richiesta esplicita del pittore di Carturo, in modo tale che la luce reale corrispondesse a quella dipinta. Inserita in una splendida cornice architettonica, dal gusto illusionistico, la pala viene definita da molti ancora oggi come “l’altar maggiore più bello al mondo”.
Alla corte dei Gonzaga
L’opera pittorica di Andrea Mantegna si legò soprattutto alla città di Mantova e al nome dei Gonzaga, dei quali fu pittore di corte a partire dal 1460 fino al giorno della sua morte. Qui, insignito del titolo consigliere artistico e curatore delle raccolte d’arte, ottenne un alloggio, uno stipendio fisso e l’onore dello stemma araldico. Alla corte dei Gonzaga, Mantegna trascorse un periodo florido, ricco di lavoro, e durante il quale produsse una lunga serie di capolavori. La sua opera più memorabile fu di sicuro la decorazione della Camera degli Sposi. Un’impresa decorativa titanica, che però contribuì a incidere per sempre il suo nome nei libri di storia dell’arte.
Le decorazioni della camera, situata all’interno del palazzo ducale, furono concepite come una serie di affreschi celebrativi, i quali attraverso un misto di scene mitologiche spiccatamente classiche, rappresentazioni di vita quotidiana e di personaggi contemporanei celebravano l’intera dinastia dei Gonzaga.
Oltre alla sua proverbiale attenzione ai dettagli e alla resa realistica dei suoi dipinti, il tratto più innovativo dell’opera decorativa mantegnesca fu l’utilizzo magistrale della tecnica della prospettiva. Mantegna adattò il suo programma decorativo alle dimensioni della stanza, ma attraverso l’uso di tecniche come lo sfondato prospettico, del quale fu uno dei pionieri in Italia, riuscì a dilatare illusionisticamente lo spazio ben oltre i suoi confini fisici reali. Al centro della volta infatti vi è un meraviglioso oculo, ispirato a quello iconico del Pantheon, e che conferisce allo spettatore la sensazione di poter vedere il cielo oltre la volta della stanza. L’affresco si caratterizza per un incredibile realismo, alcuni angeli sono infatti ritratti come aggrappati alla balaustra, quasi pericolosamente in bilico ai lati della cornice. Ciò che rende l’opera davvero stupefacente è però soprattutto l’angolazione prospettica della scena che mostra le dame, le serve e gli angioletti, tutti scorciati da “sott’in su”, seguendo un punto di vista estremamente rivoluzionario per l’epoca.
L’oculo (soffitto della Camera degli Sposi)
Cristo morto, Pinacoteca di Brera, Milano, 1470-83 circa
Forse il dipinto più iconico di Mantegna, il Cristo morto si contraddistingue per una corporeità, un patetismo e una perfezione compositiva fuori dal comune. Dal punto di vista dell’organizzazione spaziale, l’opera ben si sposa con la ricerca illusionistica di angolazioni particolari che Mantegna aveva già adoperato nei suoi lavori precedenti. Disteso sulla pietra dell’unzione e coperto appena dal sudario, il corpo di Cristo viene presentato da Mantegna in tutta la sua umanità e la sua corporeità terrena. Lo sguardo dello spettatore viene guidato attraverso un’inedita prospettiva dal basso, dai piedi martoriati dai chiodi del Cristo verso il centro della scena, dove vi sono; a sinistra, tre splendide figure dolenti, Maria, Giovanni e probabilmente la Maddalena e al centro invece il volto esanime di Gesù, profondamente evocativo, provato dal martirio della croce, ma finalmente in pace.
“Mostrò costui con miglior modo, come nella pittura si potesse fare gli scorti delle figure al di sotto in su, il che fu certo invenzione difficile e capricciosa; e si dilettò ancora, come si è detto, d’intagliare in rame le stampe delle figure, che è commodità veramente singularissima, e mediante la quale ha potuto vedere il mondo non solamente la baccaneria, la battaglia de’ mostri marini, il Deposto di croce, il sepelimento di Cristo, la Ressuressione con Longino e con S. Andrea, opere di esso Mantegna, ma le maniere ancora di tutti gl’artefici che sono stati. ” (Giorgio Vasari)
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